Giovanni Gasparro nasce a Bari nel 1983, appena diciassettenne vince il premio “Bona Sforza, regina di Polonia e duchessa di Bari". Approfondirà i suoi studi presso l’accademia di Belle Arti di Roma nel 2007, ma già a partire del 2001 espone in tutta Italia e dieci anni dopo esporrà al padiglione della Regione Lazio nella 54° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Nel 2013 vince il "Bioethics Art Competition" della cattedra in bioetica e diritti umani dell'Unesco.

Fin da giovanissimo ha vinto premi molto importanti fin da subito è stata riconosciuta la sua maestria nel dipingere, ma cosa l'ha spinto verso questo mondo si affascinante, ma anche molto difficile della pittura?

Ho avuto una fortissima inclinazione e propensione verso il disegno e la pittura sin dalla tenerissima età. Quando ero ancora bambino, i miei genitori mi regalarono un libro con belle riproduzioni fotografiche di grandi autori della pittura italiana. Restai fortemente impressionato da Michelangelo e da Gaspare Traversi. Da allora ho cercato di affinare la mia tecnica pittorica sperimentando moltissimo. Riconoscevo alla pittura un potenziale comunicativo fortissimo e desideravo servirmene per veicolare le mie idee e rendere visibili anche agli altri le costruzioni visionarie che elaboravo con la mente. Conservo tutt'oggi il medesimo entusiasmo, nel farlo.

I papi di Napoleone

Nei due quadri esposti al museo Napoleonico sono raffigurati due papi Pio VI e Pio VII, come mai ha scelto di voler raffigurare due personaggi così complessi nella loro storia?

La scelta di effigiare questi romani pontefici è stata dettata in primis dalla richiesta lusinghiera di Santino Carta e Vittorio Sgarbi, rispettivamente Presidente e Direttore artistico della Fondazione Pio Alferano e Virginia Ippolito, di partecipare ad una mostra concorso che intendeva celebrare Gioacchino Murat. Inizialmente decisi di declinare l'invito perché non ho mai nutrito ammirazione per i giacobini francesi e la loro tirannide massonica liberale.

In seconda battuta ritenni di dover partecipare ugualmente, dipingendo il papa esiliato in quella triste stagione rivoluzionaria, ovvero il Servo di Dio Pio VII Chiaramonti, salito al Soglio di Pietro dopo la morte in esilio di Pio VI Braschi, per le medesime politiche anticlericali napoleoniche. La scelta ardita, che rischiava di portarmi quasi fuori tema, mi valse, a contrario, la vittoria del premio.

Riconoscimento che non ritirai personalmente perché assente durante la cerimonia di premiazione. Mai avrei osato sperare di vincere con una presa di posizione come la mia. Dopo Pio VII ho dipinto molti pontefici a cui sono legato, da cattolico, in filiale devozione.

Il gusto pittorico

Nei suoi quadri segue degli influssi caravaggeschi, cosa l'ha portata a questa scelta?

La scelta di un'adesione al dato reale, in pittura, piuttosto che alle astrazioni iperboliche dei nostri tempi, è stata dettata, principalmente, da una sensibilità affine alle ricerche compositive, cromatiche e luministiche della stagione barocca. Questo anche per analogie sul piano iconologico e di intenti, rifacendomi alla trattatistica post-tridentina, quindi prodotta dopo il glorioso Concilio di Trento, quando furono codificate tutta una serie di indicazioni di carattere iconografico, ad uso dei pittori e degli altri artisti ed artigiani, nell'arte sacra e profana.

Mi riferisco soprattutto all'Instructionum Fabricae et Supellectilis Ecclesiasticae di San Carlo Borromeo ed il De Pictura sacra del cardinale Federico Borromeo, giustapposti al Discorso intorno alle immagini sacre e profane del cardinale bolognese Gabriele Paleotti. Per il resto, le fonti di ispirazione della mia pittura sono fortemente diversificate e spaziano dalla teatralità drammatica della statuaria ellenistica, fino a Donatello e Rodin, da Carlo Crivelli a Fausto Pirandello e Felice Casorati. Potrei citare moltissimi autori determinanti per comprendere le mie scelte di ricerca artistica contemporanea.

I suoi quadri esprimono sempre un qualcosa di religioso, si rifanno al mondo della cristianità, eppure alle volte suggeriscono un qualcosa di ultra terreno, come nel caso di Pio VII in cui vi sono delle doppie mani che spuntano dal nulla.

È particolare questa scena, poiché sembrano veramente volere esprimere qualcosa di nascosto, ecco vorrei sapere a questo punto quale era la sua reale intenzione, cosa volesse dire attraverso queste mani così misteriose.

Le doppie mani di papa Pio VII, dipinte in catene e libere dal giogo imposto dagli sgherri che lo condussero coattamente a Fontainebleau, alludono all'anelito di libertà del pontefice e della Chiesa, di cui egli è stato guida temporale e spirituale. In molte mie opere, comprese quelle di soggetto religioso, le mani sono ripetute più volte, rimandando idealmente ad antiche iconografie sacre del XV secolo, soprattutto le celebri Arma Christi di area fiorentina o fiamminga, la Pietà di Lorenzo Monaco del 1404 e quella del Maestro della Madonna Strauss, entrambe nelle collezioni delle Gallerie dell’Accademia di Firenze, Il Cristo in Pietà nel pannello centrale del trittico di Domenico di Michelino al Musée des Beaux-Arts di Chambéry o il Cristo deriso fra san Domenico e la Santa Vergine in meditazione della cella numero sette nel convento di san Marco a Firenze, opera ad affresco del Beato Angelico.

Proprio queste opere del beato domenicano, patrono universale dei pittori insieme a san Luca evangelista, legittima questa mia particolarità nell'arte sacra. Il riferimento alle visioni estetiche avanguardiste del Futurismo e del Cubismo, che in tanti hanno evidenziato, non corrisponde ad un mio proposito ideale. A contrario, nella pittura di Balla, Severini e Boccioni, insieme all'esaltazione meccanica del movimento fisico, è sottesa l'ideologia modernista di rinnegamento e disprezzo della tradizione, tanto quanto nella scomposizione stilizzata di Braque e Picasso è presente, in nuce, il concetto di multiformità della visone e quindi quello di relativismo. Il carattere rivoluzionario del Futurismo, a scapito della tradizione, del museo, dall'accademia, è così evidente che fu lodato trasversalmente dai belligeranti fascisti mussoliniani come dal comunista ateo Gramsci che ne lodava il fervore distruttivo e dissacratorio.

In ultima istanza, Futurismo e Cubismo possono essere ascritte nell'alveo del pensiero di Rivoluzione, la mia pittura e le mie molte mani in quello di Controrivoluzione.

Come mai ha scelto di presentare la sua opera all'interno del museo napoleonico e non in un altro maggiormente conosciuto?

Trattandosi di un progetto espositivo incentrato sui due pontefici esiliati e vilipesi da Napoleone e dalle forze giacobine francesi, lo spazio museale preferenziale non poteva che essere il Museo Napoleonico. Fra i più importanti musei della Capitale, questo museo è più d'elite e fuori dal circuito del turismo di massa, pur avendo una collezione straordinaria, con opere di autori importanti, soprattutto del XVIII e XIX secolo francese, da David a Valadier, Houdon, Gerard, Induno, Prud'hon, Wicar, Winterhalter e Carpeaux, Flandrin, Canova e Couture, sino a De Nittis ed Armando Spadini.

Una ricca e preziosa collezione che integra il percorso della mostra, nelle medesime sale della collezione permanente. Da studente d'Accademia di Belle Arti a Roma, ero di frequente in visita in queste stesse sale come in quelle dell'attigua Casa Museo Mario Praz. È stato molto emozionante tornarci per una mia mostra monografica. Questi musei sono oasi di bellezza in una città troppo spesso involgarita e caotica.