Secondo alcuni, regole sociali e giuridiche esistono per il fatto che gli esseri umani non sono tutti completamente buoni, ipotesi che le renderebbe superflue, nè completamente cattivi, perchè, se così fosse, non ne avrebbero alcun timore. La regola, allora, dovrebbe contenere un bilanciamento di interessi per persone nè buone, nè cattive. L'anarchico è, invece, chi sogna il superamento dello sbarramento delle norme contemplando la possibilità di una libertà assoluta ed è intessendo questi valori in un "racconto di raziocinio" che Ferdinando Pessoa nel 1922 ha pubblicato il suo libro intitolato "Il Banchiere Anarchico".

L'opera è stata rielaborata da Giulio Base per la realizzazione di un lungometraggio del quale è regista, attore e sceneggiatore, che è stato presentato con successo alla 75^ Mostra del Cinema di Venezia nella sezione 'Sconfini'. Ad essere protagonista è un insolito anarchico in smoking, che fuma il sigaro, colto e sofisticato e che ha impegnato la sua vita esclusivamente all'accumulo di denaro per sancire la liberazione dal fattore più potente di predominio e condizionamento sociale. Il banchiere di Base resta anarchico nella dilatazione di un'appartenenza borghese che coincide con il suo dissolvimento.

Diogene nella botte sarebbe la fuga e non la soluzione

La società è inquinata dalla "finzione", dagli orpelli di travestimenti forgiati da potere e ricchezza, da identità posticce che svuotano la competizione leale fra gli esseri fondata sulla purezza delle doti naturali.

Allontanarsi dalla realtà in un ritiro sdegnato sul modello di un "Diogene nella botte" corrisponderebbe ad una fuga non liberatoria, tanto quanto è definita "stupida" la violenza attuata per demolire il sistema. "Alle convenzioni sociali non si spara" - afferma icasticamente il banchiere anarchico. Un aspetto che ha trovato un'involontaria corrispondenza anche nel bel film giapponese "Zan" del regista Shinya Tsukamoto, in concorso a Venezia 75, nel quale ci si domanda se oggi potrebbe sembrare munita di una consistenza idealistica la scelta di uccidere che faceva parte del codice di onore del Samurai.

Tsukamoto ha uno sguardo profondamente ironico sul mondo degli antichi guerrieri, tanto quanto lo è quello del banchiere anarchico verso i movimenti politico-ideologici che legittimano l'uso delle armi. Le convenzioni si vincono, dunque, soltanto entrando nel loro centro, come nel vortice di uno tsunami. La scena del film è infatti molto austera, costituita da efficaci chiaroscuri in una sorta di bunker nel quale il banchiere intrattiene il suo contraddittorio con un socio in affari nel giorno del suo 50esimo compleanno.

"La vittoria è fatta di rinuncia e di silenzio - commenta Giulio Base - la cui recitazione s'ispira alla sua solida formazione teatrale - e, dal momento che è impossibile liberare la società intera, avrò, almeno liberato uno solo, me stesso".