In questi giorni di lutto per il Cinema italiano con la scomparsa prima di Bernardo Bertolucci, il grande regista di 'Ultimo tango a Parigi' e poi dell'attore Ennio Fantastichini che ha lavorato con registi di grande rilievo, da Virzì a Ferzan Ozpetek, Nanni Moretti chiude il Torino Film Festival con un documentario che ci riporta all'epoca del golpe militare di Pinochet, in Cile, durante il quale l’ambasciata italiana a Santiago, insieme e forse più di altre, si è trasformata in rifugio per centinaia di richiedenti asilo provenienti dal Paese sudamericano.
La narrazione per interviste di quel periodo drammatico apre a molteplici spunti sull’attualità.
La giornata concitata dell’11 settembre 1973, con il bombardamento del Palacio de La Moneda, la morte del presidente democraticamente eletto Salvador Allende e l’insediamento nei giorni a seguire, poi diventati anni, del nuovo esecutivo militare, vengono narrati attraverso il ricordo di alcuni di coloro che furono ospitati e accolti nel nostro Paese, intervistati direttamente da Moretti.
Le testimonianze
Oltre a registi e giornalisti, impegnati a raccontare le difficili condizioni in cui versava la popolazione cilena, a documentare i cambiamenti attuati con l’elezione di Allende, si tratta per lo più di persone comuni, anch’esse militanti e costrette a scappare che hanno lavorato o continuano a lavorare come artigiani, operai e traduttori.
Non mancano due interviste a esponenti militari del golpe, con il loro punto vista, né manca la testimonianza dei diplomatici italiani di allora che si trovarono a dover gestire decine e decine di cileni che, ogni giorno dopo quell'11 settembre, scavalcavano o si gettavano al di là del muro di cinta della nostra ambasciata.
"A un certo punto c’era una tale corsa alle ambasciate da parte di questi cileni che erano impazziti dal terrore e allora saltavano il muro. […] E qui è venuto il mio caso di coscienza […]. Io avevo chiesto al mio ministero di darmi istruzioni su quello che dovevo fare. Naturalmente si sono ben guardati dal farlo. E allora io ho deciso di tenerli tutti, di non mandare via nessuno", è il racconto di Piero De Masi che nel 1973 era un giovane funzionario diplomatico ed insieme al collega Roberto Toscano è il testimone che all'epoca dei fatti narrati lavorava nell'ambasciata italiana a Santiago del Cile.
Il drammatico passaggio dal sogno socialista di Allende alla dittatura di Pinochet è ripercorso nei momenti del prima, del durante e del dopo, con le parole e la memoria di chi lo ha vissuto in prima persona, passando spesso per la detenzione e la tortura, fino all’arrivo nel nostro Paese da rifugiati, in un clima di accoglienza e solidarietà.
L'Italia di ieri e di oggi
Sono, quindi, anche le storie della loro successiva integrazione, avvenuta nella scia di un impegno e di un sentire politico comuni; sono storie di integrazione vera, fatta di compartecipazione e corrispondenza di prospettive e valori prima di tutto, la cui intensità può tornare a scuotere.
Quando Moretti chiede ad uno degli intervistati come vede, guardando indietro, gli anni della sua militanza, questi non trova le parole per descriverli e risponde “semplicemente "Belli, perché lottare per garantirsi una vita dignitosa è già molto, ma farlo anche per altri lo è ancora di più”.
Ne esce uno spaccato dell’Italia di un tempo, dell’Italia “piccola”- dal giardino della nostra ambasciata a Santiago e non solo - partecipe della Storia “grande”. Di un’Italia viva, quella di tanti anni fa, degli anni ’70.
Il racconto e le testimonianze di un evento passato diventano una chiave di lettura, inevitabilmente “non imparziale”, delle trasformazioni avvenute in Italia e del suo presente. “Santiago, Italia” sempre più “Italia, Santiago”: dal viaggio di sola andata di molti rifugiati cileni di allora in cerca di futuro ad un altro inverso: dall’Italia al Cile, in cerca del passato e per comprendere il presente.