Essere ciechi, nell’economia di un individuo, non è un dettaglio di poco conto. Sicuramente si possono affrontare attività valide come il cantare, ascoltare un melodramma o una band metal. O discutere con passione di una partita di calcio. Ma è uno stato, verrebbe da dire, speciale; che quindi merita attenzione: come quella che il sensibile Salvatore Niffoi mette in atto nel suo imminente romanzo, "Il cieco di Ortakos" (Giunti Editore, pag. 156) in uscita il 20 marzo 2019. A questo lavoro va una nota di particolare plauso: tra gli spazi delle parole corre una sorta di chiarificazione; ovvero un attestato di unicità che concorre a sostanziare i protagonisti dello scritto.
La cecità come tema letterario
È indubbio che la presenza del senso della vista – o più precisamente, la sua mancanza, la sua irrecuperabile assenza – sia uno status pronto e adatto a un uso metaforico per quelli che, come gli scrittori, hanno bisogno di figure retoriche potenti e capaci di far presa sulla fantasia dei propri fan; e degli appassionati cercatori di arditi simbolismi. Un esempio su tutti, è quello del premio Nobel per la letteratura portoghese, Josè Saramago. È nel cuore di tanti il suo “Cecità”, libro pubblicato nel lontano 1995. Salvatore Niffoi, quindi, si ferma anche lui nei pressi di questo tema pregnante. Va detto che, ovviamente, le narrazioni dei due scrittori portano in territori originali e caratteristici.
Ad esempio, in Saramago i personaggi sono privi di identificazione tramite nominativo proprio, in Niffoi, invece il lettore non fa fatica ad affezionarsi ai personaggi disegnati con chiarezza e dotati di un preciso nome.
La storia del romanzo
L’autore inizia la sua narrazione puntando la sua attenzione sulla dura adolescenza, e la seguente aspra giovinezza di Damianu Isperanzosu.
È questo il nome del protagonista. L’uomo trascorre la sua esistenza nella Barbagia – o, in sardo, Barbaza –; questa è una vasta regione della Sardegna, ricca di montagne articolate contro il cielo. Damianu può fregiarsi di poggiare i piedi su un territorio che la storia e la geografia definiscono “Civitates Barbariae”, posto a sud del Gennargentu.
Il fatto è che deve limitarsi al ‘tatto’ delle scarpe: è cieco. Tuttavia, la durezza di un sentiero vitale segnato dalla menomazione, è vinta da conquiste che sembravano irrealizzabili. E, soprattutto, la cecità che lo affligge dalla nascita, si dilegua quando è a un mese dalla morte. Un tempo esiguo che, comunque, gli permetterà di non essere più, il cieco del paese.