Annalisa Stroppa, giovane mezzosprano originaria di Brescia ha appena iniziato il tour tra Europa e Italia. Sei date in Spagna, iniziando nella splendida cornice del Teatro Real di Madrid, dove ha debuttato lo scorso 4 marzo nella Norma di Vincenzo Bellini nel ruolo di Adalgisa, la giovane ministra del tempio di Irminsul e la cui prima fu al Teatro alla Scala di Milano nel 1831. L'opera è diretta da Marco Armiliato e il regista è Justin Way. Fino al 19 marzo la Stroppa raccoglierà gli applausi del pubblico madrileno che lei dice “Caldo e caloroso come quello italiano.

Forse, più silenzioso, ma sempre attento e stimolante, anche se con l’Italia c’è sempre un rapporto privilegiatoe speciale”.

In un Paese dove sono i talent show sfornano gli artisti dell’universo pop, incontrare un mezzosoprano, puro, appassionato e di grande talento come Annalisa Stroppa fa bene alla cultura e, soprattutto, alla ricchissima tradizione operistica italiana che viene da molto lontano. Un patrimonio da difendere. La Stroppa ha studiato al Conservatorio Luca Marenzio di Brescia, ha debuttato con La Betulia liberata di Wolfang Amadeus Mozart al Festival di Salisburgo diretta dal maestro Riccardo Muti nella stagione 2009/2010. Muti la volle anche nella stagione lirica successiva nel ruolo di Cherubino ne I due figaro di Saverio Mercadantesempre a Salisburgo.

Nel medesimo si è esibita al Teatro Real di Madrid e al Teatro Colón di Buenos Aires. Ha lavorato, tra i tanti, anche con Riccardo Chailly, Zubin Mehta, Christian Thielemann e Fabio Luisi.

Insomma, Annalisa si è già fatta le ossa in grandi produzioni liriche. E ora che la Spagna ha riaperto i teatri nelle regioni dove la pandemia è in remissione, ora la rivedremo presto anche in Italia in primavera.

Buongiorno Annalisa, che effetto fa ritornare a calcare il palcoscenico con il pubblico in sala dopo un anno di stop per la pandemia?

“È stata una grande emozione, dopo mesi tremendi e senza sapere quando sarei tornata a cantare in teatro. L’opera è un’arte che ha bisogno di essere condivisa con il pubblico per raggiungere la sua pienezza e bellezza.

Sapere che il pubblico ti ascolta e matura con te, in quegli stessi istanti, nello stesso luogo, le emozioni che tu produci e provi nel tuo cuore attraverso l’interpretazione di un personaggio, è un piacere assoluto. E indimenticabile. Tutti noi artisti ne abbiamo sentito la mancanza in questi mesi”.

Come è andata la prima della Norma lo scorso 4 marzo al Teatro Real di Madrid?

“In modo fantastico. Ho vissuto assieme a tutti i colleghi una serata bellissima, entusiasmante. Molto gratificante perché a distanza di molto tempo ho riprovato quell’emozione persa da tanto tempo”.

La stessa emozione provata nel suo primo importante debutto?

“Ogni debutto per me, emotivamente, assomiglia sempre al primo della mia carriera, per la tensione che accompagna i giorni precedenti e l’emozione, la sana adrenalina che provi all’inizio sul palco e alla fine.

Al mio primo importante debutto con il maestro Riccardo Muti, credevo che con il passare del tempo, aumentando l’esperienza, sarei riuscita a dominare quel ciclone di sentimenti che mi scoppiava nel cuore e nello stomaco. E, invece, non mi ha mai abbandonato”.

Come ha vissuto la costrizione di rimanere a casa e non potersi esibire?

“Non sono stati giorni facili soprattutto i primi. La voce è un muscolo che va allenato, stimolato per un cantante, ma a me sembrava di forzare, di comportarmi in modo opposto a come richiedeva il periodo. E molto spesso ho preferito restare in silenzio. Cantare sarebbe stata una forzatura. Era tempo di riflettere, senza musica, perché mi sembrava che fosse la mia stessa voce a chiedermi una pausa in quel delicato momento.

Poi abbiamo ricominciato con alcuni spettacoli in streaming, è ripartito così, anche dal vivo, con un pubblico dimezzato per rispettare le rigide norme sanitarie, come la scorsa estate all’Arena di Verona”.

Facciamo un passo indietro. Come e quando nasce la sua passione per il canto classico?

“Non sono figlia d’arte, né di genitori particolarmente melomani. In realtà sono cresciuta con i miei nonni materni. Mia nonna aveva molte musicassette di opera lirica, io trascorrevo i pomeriggi da lai ad ascoltare quella musica meravigliosa e ipnotica. Già a otto anni ascoltavo i grandi tenori e li interpretavo con la mia voce acerba, ma con molto impegno. Mi appassionai così tanto al canto, che ancora prima di prendere lezioni, alle feste con la mia famiglia o a qualche matrimonio mi esibivo, raccogliendo applausi e consensi.

Mi ero accorta che se cantavo mi sentivo particolarmente felice e in pace. Una bella sensazione che mi è rimasta. Ma devo ringraziare il DNA della mia famiglia, perché è dalla mia nonna paterna che ho preso la voce: lei ne aveva una potente, squillante e la usava per cantare in chiesa ogni domenica”.

Ha un mezzosoprano di riferimento?

“È molto difficile sceglierne una. Non solo l’Italia ha un passato ricchissimo di artiste una più brava dell’altra, ma anche Europa e Americhe. Io amo in particolar modo Gioacchino Rossini, mi piace, quindi, Teresa Berganza Vargase La canción española. M’ispirano molto, tra le italiane, Luciana D’Intino, Fiorenza Cossotto, Fedora Barbieri e Lucia Valentini Terrani.

E poi, in America, Shirley Verret e in Spagna l’indimenticabile Montserrat Caballé”.

Un mezzosoprano, attraverso l’esercizio, può diventare un soprano?

“Non è proprio possibile perché un mezzosoprano ha delle caratteristiche fisiche particolari che nemmeno l’esercizio può cambiare. Le cavità del nostro corpo, il torace, le sue ossa sono la nostra grancassa in cui la voce si crea, si forma e amplifica. Ognuno ha il suo particolare timbro musicale che lo si porta per tutta la vita. Il soprano è un violino, un mezzosoprano una viola".

Bellini, Rossini, Donizeti e Bizet…qual è il compositore a cui è più legata?

“La mia voce si trova a suo agio nel Belcanto italiano (XVI secolo, ndr), e nel repertorio francese dell’Ottocento, il periodo romantico, con i suoi autori transalpini come Georges Bizet, e poi adoro Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti e Gioacchino Rossini”.

Lai è originaria di Brescia, è ancora legata alla città?

“Mi piace molto viaggiare per lavoro e cerco sempre di visitare i Paesi in cui mi trovo a cantare, immergendomi nella loro cultura e usanze, questo mi arricchisce profondamente. Però so benissimo da dove vengo, quali sono le mie radici cui sono molto legata. Brescia rappresenta il mio rifugio, i miei valori, la mia famiglia, i miei amici. Lì è piantata solida la mia bandierina che m’identifica e mi dà energia e identità”.

Oltre all’Italia, in quale Paese si trova a tuo agio quando canta?

“L’Italia occupa sempre il mio cuore. E poi, la Spagna, la mia seconda casa, con il suo pubblico che è molto appassionato e caloroso, come il nostro, attento e coinvolto.

Ma gli amanti dell’opera lirica sono favolosi anche in Argentina e in Germania, dove non vola una mosca a teatro durante lo spettacolo”.

Cosa prova un artista quando dal pubblico arrivano i fischi?

“A me personalmente non è mai capitato, anche se ci sta nella carriera di ognuno. Mi è capitato nel gruppo di artisti a fine opera: ho visto davvero lo sconforto dell’interpreta principale e, soprattutto del regista che è colui che che più è attaccato da pubblico e critica. Succede, fa male, ma è parte di questa professione. Il successo è fatto anche d’insuccessi”.

Come si vede tra una ventina d’anni?

“Vorrei, innanzitutto, andare avanti nell’opera lirica il più possibile. Ci sono ancora tante opere cui vorrei lavorare.

Poi, voglio dedicarmi alla mia famiglia, ai miei figli e mio marito. E a fine carriera voglio dedicarmi all’insegnamento del canto. Voglio condividere la mia esperienza e trasmettere ai miei allievi tutta la bellezza di questa professione. La musica e il canto dovrebbero essere insegnati da professionisti fin dalle scuole elementari, e anche la storia dell’opera lirica che ha un potente linguaggio universale accessibile a tutti che sempre esisterà. Siamo o non siamo il Paese di Verdi, Bellini, Donizetti e Rossini e tanti altri”.

Quali sono gli altri suoi impegni, anche in Italia?

“Sarò Suzuki nella Madama Butterfly al Teatro San Carlo di Napoli dal prossimo 30 aprile al 13 maggio; poi, Requiem di Giuseppe Verdi al Teatro Municipale di Piacenza.

Seguirà La Forza del Destino sempre di Verdi al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino a Firenze dal 4 al 20 giugno. Per chi ama Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini sarò, invece, Rosina in Finlandia a Savonlinna per il Savonlinna Opera Festival dal 10 al 23 luglio, per poi tornare in Italia e concludere all’Arena di Verona dal 6 al 26 settembre nel ruolo di Fenena nel Nabucco di Verdi”.