C’è ancora bisogno di sacro? It depend. In seno alle genti d’Italia annichilite da una crisi di lungo corso – di denaro, di fiducia, di prospettiva – parrebbe di no (vada per chiese alla domenica mattina chi cerchi la prova provata). Ma presso il sistema dei media sì, stando almeno al consenso che the white tunic – ‘er papa’ capitolino – riscuote in ogni propaggine della penisola.

Non è una novità. Il Cinema della fede – o religioso – ha una sua autorevolezza, anche per via di quel Gesù che i grandi maestri della settima arte – e i nomi sono quelli di Rossellini, Pasolini e Zeffirelli – hanno voluto celebrare.

Ma si badi. Il fenomeno qui evocato rimanda non a un generico fervore ultraterreno – certo, chi crede, crede anche in formato pixel –, non riferisce degli alfieri maggiori del culto – le vite dei santi, per intenderci – e nemmeno gli altri – le suore, i frati, i sacerdoti, fuori o dentro le abbazie e i conventi – ma punta dritto alla figura temporale più carismatica della cristianità: il papa. O meglio, i papi.

Nulla a che vedere coi modi in cui il pontefice è ammanierato in Nel nome del Papa re (1977) di Luigi Magni e La papessa (2009) di Sönke Wortmann, né s’intendono qui le macchinazioni alla Morte in Vaticano (1982) di Marcello Aliprandi o del più celebre Dan Brown ne Il codice da Vinci (2006) et similia: il referente – e la novità – sta semmai nella centralità (biografica, immaginifica) che il vicario di Cristo ha assunto nell’ultimo decennio in materia di audiovisivo, da cui la nascita di un vero e proprio sottogenere che per convenzione spicciola andrebbe chiamato papa-movie.

Attenzione: The Young Pope (2016) di Paolo Sorrentino è solo il più blasonato dei suoi epigoni ma la genesi va cercata altrove.

Dalla storia dei papi ai papa-movies

In principio fu il fervente Ermanno Olmi – e per chi crede è di per sé un segno divino – con il suo film E venne un re (1965) sulla figura di Giovanni XXIII. Poi il silenzio.

Almeno finché è in vita Giovanni Paolo II – per vocazione e carisma del soggetto il più mediatico dei pontefici – i riflettori sono tutti per lui. La realtà supera la fiction. Fascinoso, energico, mistico, Karol Wojtyla – con un passato da attore, sceneggiatore e filologo nella sua Wadowice – buca lo schermo. La folla gli cade ai piedi.

Per il Time è John Paul, superstar – come titola il magazine statunitense nel 1993 dedicandogli la copertina all’apogeo del suo carisma mediatico. Quando le forze staranno per abbandonare il vecchio papa, ormai al termine del suo straziante ministero apostolico, la Rai manda in onda Papa Giovanni – Ioannes XXIII (2002) di Giorgio Capitani. E sbanca l’Auditel.

Con Angelo Roncalli – e uno share del 47,49%; 13.180.000 spettatori medi –, l’emittenza nazionale firma uno dei grandi successi della stagione televisiva. Mediaset non sta alla finestra e l’anno dopo fa il pieno di audience col ‘suo’ Roncalli nella miniserie in due puntate Il Papa buono (2003). È un prodotto elegiaco quello del biscione, com’è tipico del genere, ma il pubblico conferma il gradimento: dodici milioni di telespettatori e «una fiction da record» – scrive il Corriere della Sera.

Intanto il 2 aprile 2005 Giovanni Paolo II muore. Nemmeno due settimane dopo le rete ammiraglia di Cologno Monzese trasmette il biopic Karol, un uomo diventato papa (2005) di Giacomo Battiato, cui seguirà l’anno dopo la miniserie in due puntate – sempre a firma Battiato – Karol, un papa rimasto uomo dove Karol sta, appunto, per Wojtyla. Ma cambiando l’ordine papale – da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II – il risultato è il medesimo: i papi fanno incetta d’ascolti. A questo punto la RAI, ingagliardita dal successo e forse temendo la contro programmazione del competitore privato, gioca d’anticipo e lancia una vera controffensiva che nel triennio 2006-2010 vede la messa in onda di ben tre miniserie papali: Papa Luciani, il sorriso di Dio (2006), Paolo VI, il papa nella tempesta (2008) e Sotto il cielo di Roma (2010) – di Giorgio Capitani, Fabrizio Costa e Christian Duguay –, dedicate rispettivamente ai pontificati di Albino Luciani, Giovanni Battista Montini ed Eugenio Pacelli.

I papi: dalla televisione al cinema

Poi è la volta del cinematografico Habemus Papam (2011), un’opera isolata com’è nella storia di Nanni Moretti, solo apparentemente distante dalla cifra autoriale del cineasta romano. Ma il salto di qualità è evidente. Il regista di Palombella rossa abbandona i tratti calligrafici dei ‘predecessori’ per soffermarsi sull’inadeguatezza del suo papa Melville – un personaggio di fantasia – alle prese con i limiti del sé e dei tempi. Campione d’incassi della stagione, la pellicola è laureata nei maggiori festival europei (il film finirà la sua corsa con un European Film Award, sette Nastri d’Argento e tre David di Donatello) e diventa profetica. Quando l’11 febbraio 2013 Benedetto XVI – al secolo Joseph Ratzinger – annuncia la rinuncia al ministero di Vescovo di Roma, in molti devono aver pensato alle fughe notturne di Melies, il suo amore per il teatro e le cose semplici.

E Benedetto? Se è proprio durante il suo pontificato (2005-2013) a consolidarsi il filone dei papa-movies, a lui nisba. Nessuna produzione ha inteso rievocare il più 'pittoresco' dei papi contemporanei (nonostante il suo stile algido abbia certamente influenzato la nascita del pope sorrentiniano). Ma il vento del cambiamento soffia sulla madre Chiesa. Ora è il tempo dell’argentino Jorge Mario Bergoglio, il papa venuto «dalla fine del mondo», eletto al soglio di Pietro nel marzo 2015. Amicale, schietto, autenticamente democratico: ed è subito sintonia con la piazza. Il duecentosessantaseiesimo padre della Chiesa, non ha il magnetismo di Wojtyla, il rigore di Ratzinger, la sensibilità di Luciani, i dubbi di Montini.

Ma è simpatico. Anche al regista Daniele Lucchetti che a pochi mesi dal suo insediamento rilascia ai cinema il suo Chiamatemi Francesco (2015), un ritratto laico del futuro papa ambientato nell’Argentina degli anni Settanta-Ottanta durante la Guerra sporca.

Il caso Sorrentino e gli epigoni

Il 2016 sarà ricordato come l’anno di The Young Pope. Supportato da un battage pubblicitario senza precedenti e grazie alle guarentigie finanziarie di una co-produzione italo-franco-spagnola, le immagini dell’ineffabile Denny Belardo (Jude Law) – trasmesse da Sky Atlantic – fanno il giro del mondo confermando il talento visionario del più celebre premio Oscar italiano, il napoletano Paolo Sorrentino. È un successo planetario.

Si pensa subito al bis ma per impegni del regista (impegnato sul set 'berlusconiano' di Loro) l’inizio delle riprese della nuova serie – The new pope – slitta al 2018. Anche Netflix si fa impaziente. I papi ‘tirano’ e l’azienda di streaming on demand più famosa del mondo pur di mandare in tv il suo uomo di bianco vestito decide di andare a sbirciare in Vaticano nei giorni del sacro l’avvicendamento pontificio.

E così di papi ne trova ben due. Gaudium Magnum... Annuntio vobis.. – si appresta a dichiarare la produzione – ...l’imminente lavorazione di The Pope con Antony Hopkins nel ruolo di Benedetto XVI e Jonathan Price nei panni di Francesco, per la regia del brasiliano Fernando Meirelles. Basta così?

No. Anche Wim WenderAlice nella città (1973), Il cielo sopra Berlino (1987) e Il sale della terra (2014) – non ha saputo resistere al richiamo di Sua Santità e ha da poco finito le riprese del sul suo documentario-intervista Papa Francesco. Un uomo di parola, in collaborazione col Centro Televisivo Vaticano. Basta così? Nemmeno per sogno. Ma stavolta è un papa in persona, Francesco, a farsi promotore del progetto. E così - la notizia è di questi giorni -, l’imminente edizione del Marchè du film del settantesimo Festival di Cannes, passerà alla storia per aver presentato un film pensato e ‘recitato’ da un pontefice vero che con Beyond the sun – come ha spiegato la regista argentina Graciela Rodriguez – ha inteso promuovere il messaggio evangelico ai bambini di tutto il mondo.

Altri papi vanno almeno ricordati nei volti di Sir Alec Guinness (Papa Innocenzo III) in Fratello Sole e Sorella Luna, Rex Harrison (Papa Giulio II) in Il tormento e l’estasi, Anthony Quinn (Papa Kiril I) in L'uomo venuto dal Kremlino, Paolo Stoppa (Pio VIII) in Il Marchese del Grillo, Manfred Freyberger (Giovanni Paolo II) nel Pap’occhio e Jeremy Irons (Papa Alessandro VI) nella serie televisiva I Borgia.

Basta così? Per ora si: «La messa è finita».