L'oppio dei popoli è tornato: ma, tranquilli, tranquilli. Non balzate dalle sedie, non abbiate paura (o forse, giunti a questo punto, sarebbe anche il caso che qualcuno di noi iniziasse ad inorridire per l'involuzione sociale in cui stiamo incappando).

Oggi non vogliamo parlare di filosofia, né di religione e figuriamoci, poi, se ci siamo posti l'obiettivo di riesumare Marx. No. State sereni, state tranquilli (più o meno): l'oppio dei popoli è tornato, è vero, ma non è la religione. O meglio: non è la religione di cui sentite parlare più o meno da 2000 anni.

Il nostro nuovo culto, quello del tempo presente, ha un nome preciso, un volto bidimensionale e circa 400 milioni di follower in continua espansione: si chiama Instagram ed ha deciso che il diritto alla felicità di ogni essere umano normale, dunque tendenzialmente imperfetto (giacché autentico, reale) debba essere schiacciato dagli instagrammer patinati e dai loro scatti geneticamente modificati.

Instagram: quando la finzione annienta il reale

Ogni giorno la stessa storia, quindi, ogni giorno la stessa illusione: colazioni da sogno, risvegli felici, passeggiate al parco e cagnolini trendy, alla moda, tanto quanto le più desiderabili borsette. Le foto che affollano Instagram (non a caso, il social network più in voga del momento) sono dei veri e propri capolavori di posa: ricettacoli di bramosie e di desideri altrui, che sono capaci di aumentare copiosamente il numero dei seguaci di chi le posta e, contestualmente, di demolirne l'autostima.

Quotidianamente, e senza mezze misure, siamo bombardati da immagini costruite, location impeccabili, preparate a tavolino: frammenti di vita in digitale che immortalano falcate da star tra le vie del centro e una serie infinita di #outfitoftheday, prima egregiamente adagiati su sfondi colorati e, poi, forse (ma non nella maggior parte dei casi) realmente indossati.

Ma, fermiamoci un istante. Ragioniamo. Chi di noi, a prima mattina, ha veramente il tempo (o la voglia) di adagiare sul pavimento di parquet i vestiti che ha scelto per affrontare la giornata? O chi, effettivamente, in un giorno qualunque di Marzo, è solito attraversare la città con tacco 12 e senza collant?

Fashionblogger un po' povere

La grande bugia celata dietro ogni foto pubblicata su Instagram è palese, è tangibile, evidente: tutti noi sappiamo che quelle vite immortalate non sono reali, non appartengono ai comuni mortali, alla loro pura, autentica quotidianità. Eppure, le desideriamo, ardentemente, e nel nostro piccolo le imitiamo.

Tentiamo di emulare Chiara Ferragni mentre passeggia bellissima, in forma e incinta, nelle sue scarpe da 3000 dollari, sogniamo una casa arredata di bianco nel cuore di Manhattan e mettiamo da parte i nostri risparmi per comprare quella borsa che, mediamente in un giorno, abbiamo visto apparire nei profili Instagram di almeno 300 influencer.

E così, noi utenti relegati nell'anonimato, scalognati, iellati e tristi, perché seguiti da 1000 follower e poco più, continuiamo ad annaspare nel niente, speranzosi che, un giorno, forse, anche il nostro profilo possa diventare un luogo di culto, di influenze e di moda.

È un'opportunità, siamo soliti dirci, perché non rischiare?

Perché non provare? Ma la nostre vite, i nostri denari, non sono paragonabili, certo, a quelli delle fashion blogger. Per questo, continuiamo a bere il nostro pessimo vino, continuiamo a mangiare il nostro cibo scadente, preoccupandoci, però, che il tutto sia servito in un set di stoviglie instagrammabile, cool, invitante, così da poter emulare quella foto che, nel profilo di una digital influencer a caso, è riuscita ad ottenere 10000 cuoricini in pochi di minuti.

Restare umani ai tempi dei social

Drogati di likes e di followers spesse volte truccati, ci siamo ridotti, così, a rincorrere un modello di vita che non ci appartiene, e che forse, un paio di anni fa, non avremmo neanche sognato di avere.

Così, giorno dopo giorno, la nostra immaginazione sfiorisce e la nostra identità si appiattisce. E se in passato avevamo giurato di non arrenderci mai all'olocausto di Instagram e alle lusinghe delle rete, oggi ne siamo stati completamente risucchiati, colpiti, affondati.

E va bene così, infondo, è giusto che sia così. Le mode cambiano, i tempi evolvono e con loro anche le nostre religioni. Ognuno di noi deve avere la possibilità di raccontare la propria storia, di urlare al mondo chi è e cosa fa. Va bene: basta solo non cedere a tutto ciò che ci viene proposto da terzi, preservare i nostri processi mentali dall'assimilazione passiva, insomma, e tentare di restare noi stessi, imperfetti, reali, umani, anche in un'epoca irreale come quella digitale.