Sono 200mila, complessivamente, i laureati meridionali che, nell'ultimo ventennio, hanno percorso gran parte dello "Stivale", nella speranza di trovare lavoro. Dal Sud al Nord, dunque, senza reversioni e senza ritorno: un biglietto di sola andata sembra fare da preludio alla tanto temuta, quanto reale, migrazione intellettuale del Mezzogiorno italiano.

Dimenticate pure i lunghi ed estenuanti viaggi intrapresi dai nostri nonni sul finire degli anni '60 quando, stringendo tra le mani una valigia di cartone con una manciata di sogni tenuti insieme da una molla, portavano manovalanza nelle fabbriche dell'Italia settentrionale.

Questa, ormai, è storia passata.

L'identikit dei nuovi migranti

Nel XXI secolo, i giovani migranti in cerca di fortuna hanno finito per mutare le loro caratteristiche: nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di neolaureati tenaci che, nel tentativo di mettere a frutto quanto studiato, sono costretti a salire sul primo treno che li conduca al di là dei confini meridionali.

Basta guardarsi intorno: qualunque giovane, oggi, nato e cresciuto al Sud, e che abbia un'età compresa tra i 24 e i 35 anni, una laurea in tasca e tanta speranza di farne buon uso, potrebbe essere un potenziale migrante intellettuale.

Via le valigie di cartone, dunque, via le coppole sformate e i lunghi cappotti di flanella: a restare immutata è solo la destinazione.

Da Roma in su, e in fuga principalmente dalla Basilicata: ai laureati meridionali non resta che sperare di poter ricominciare da zero, o almeno da tre, come si augurava pionieristicamente l'intramontabile Massimo Troisi.

Insomma, oggi per un giovane meridionale ogni meta porta un po' più a Nord rispetto al proprio punto di partenza, nella speranza che qualcosa della propria vita migliori, si stravolga o, semplicemente, possa essere presa in considerazione.

Ma come siamo arrivati a tutto questo? Quand'è che alle valigie di cartone si è sostituito un cumulo di lauree e di laureati vaganti che cercano (talvolta invano) di varcare la soglia dell'ormai utopistico mondo del lavoro?

Le preoccupanti cifre dell'esodo intellettuale

A spiegarcelo è la "Rivista economica del Mezzogiorno" diretta da Riccardo Padovani ed edita dalla Svimez, che lo scorso 22 febbraio ci ha offerto una panoramica esaustiva circa l'esodo dei laureati, mettendoci di fronte ad un quadro generale agghiacciante circa le cause, gli effetti e le perdite che il Sud sta subendo in questi anni di migrazione intellettuale.

Se nel 1980 solo il 5% dei migranti meridionali partiva alla volta del Nord con una laurea in tasca, dal 2015 in poi, i laureati in fuga sono diventati circa il 25% e, ovviamente, sono destinati ad aumentare vertiginosamente. E se almeno inizialmente la decisione di abbandonare il meridione sembrava appannaggio solo di chi una laurea già l'aveva ottenuta, a partire dal 2016, purtroppo, a fare compagnia ai laureati in viaggio si sono aggiunti anche tantissimi studenti che decidono di concludere il loro percorso di studi lontano dagli Atenei del sud: così dalla Campania va via il 23% degli allievi magistrali, in Sicilia il 43%, in Puglia il 51% e in Basilicata addirittura l'83%.

E se per caso si scegliesse di restare?

Non ci vuole certo un matematico per comprendere quanto di triste e tragico si nasconda dietro questa rapida carrellata di numeri in percentuale. Il Sud si sta trasformando rapidamente in un guscio vuoto, una culla di giovani talentuosi prima cresciuti, poi formati e, alla fine, necessariamente abbandonati.

E se per caso si volesse restare? Se si volesse tentare di resistere ed esistere anche al Sud del nostro paese? Il pensiero di poter vivere nel meridione sembra essere, ormai, alla stregua di una bestemmia, un'irriverenza, una presunzione o, ancor peggio, un anacronistico sogno di vita e di rivalsa. Chi decide di restare, insomma, in diverse occasioni viene deriso, umiliato, sottoposto ad ingaggi di lavoro ai limiti dell'umano e, almeno nell'85% dei casi, tacciato di mancanza di ambizione o, peggio ancora, di determinazione e volontà.

Eppure è così difficile capire che oggi, nel 2018, dopo 157 anni di precaria, presunta, ma tante volte osannata unità, non è sbagliato desiderare di restare là dove si è trascorsa la maggior parte della propria esistenza? Mentre, invece, è tremendamente sbagliato mettere i giovani meridionali alle strette, facendo sentire loro il peso di una necessaria, quantomai impellente fuga dal meridione?

No. Oggi, con una laurea in tasca e la disoccupazione che avanza, non ricominciamo da zero, purtroppo, e neppure da tre: uno studente medio nato e cresciuto al Sud del nostro paese, è destinato a ricominciare da molto, molto più indietro. Probabilmente, ormai, almeno da meno tre.