Le esistenze sui social network si restituiscono al mondo sotto le mentite spoglie di numeri primi: scriviamo, ci affanniamo, tentiamo di promuovere il nostro pensiero, il nostro operato. Ma, alla fine? Cosa ci resta? Ogni sillaba battuta, la moltitudine di foto ritoccate, gli sforzi per apparire al mondo virtuale sempre alla moda, sempre brillanti... La rete, come un gorgoglio di vite schizzate, si ritira e risale, mentre l'inquantificato numero dei nostri post sudati resta, a conti fatti, (con)divisibile solo per uno e, molto più frequentemente, solo per noi stessi.

Nuove forme di solitudine social

Numeri primi solitari e impazziti, dunque, tutti gli utenti del web alle prese con la realizzazione dei propri contenuti digitali. Pensieri, parole, immagini: ogni giorno, con ogni mezzo a nostra disposizione, scegliamo di regalare ai social network un pizzico del nostro vivere quotidiano. Ci hanno dato la libertà di parola, va bene, allora - ci siamo detti tra i denti - usiamola!

E così, Facebook, Instagram, Twitter e tutti i social più in voga del momento, sono diventati il teatro in cui mandare in scena la versione migliore di noi stessi. Come quando, per una festa di compleanno, tiriamo fuori dall'armadio il nostro vestito migliore. Solo che in Internet il grande evento non si celebra una tantum: qui la festa è prevista sempre, 365 giorni l'anno.

24 ore su 24.

La realizzazione di un contenuto virale

E noi siamo lì, ogni giorno, con l'immagine del nostro viso riflesso sullo schermo di un dispositivo mobile, pronti ad affacciarci al mondo digitale, desiderosi di dire la nostra opinione, di dar voce al nostro io, alla nostra persona. Ci prepariamo, dunque, scriviamo il nostro bel groviglio di parole - magari veramente sentito, magari solamente copiato - alleghiamo una bella foto, un hashtag letale, non dimentichiamo, certamente, di taggare, poi, anche il luogo in cui siamo stati immortalati e...

un momento, un momento, fermiamoci un momento. Solo un istante.

Tutto questo tram tram, tutta questa passione, tutta questa apprensione. Ma, ci siamo chiesti, per caso, a quanti tra gli internauti del web interessa davvero quello che vogliamo raccontare? Se qualcuno, agli effetti, si fermerà, incuriosito, a scrutare quella parte di noi che siamo stati disposti a mostrare?

Per Mike Campau, digital artist sfrontato e d'impatto, le nostre condivisioni social non interessano a nessuno. Sì, avete letto bene, non interessano a nessuno. E, senza mezze misure, ce lo racconta con un progetto fotografico chiamato antisocial.

Antisocial sui Social: il cortocircuito artistico di Mike Campau

Mike ha le idee chiare, e sembra volerle chiarire anche a noi: ogni post condiviso, ogni pensiero, ogni nostra parola digitale è, secondo la sua visione d'artista, paragonabile ad un enorme ma desolante parcheggio abbandonato. I post sui social resterebbero solitari, inabitati, quindi e certamente poco apprezzati, anche se sono stati saggiamente collocati in luoghi in cui, potenzialmente, potrebbero essere visti e raggiunti da molte, moltissime persone.

Lodevole il progetto proposto da Campau, certamente suggestive le fotografie che ha creato. Bello anche il messaggio e l'idea di raffigurare i social network come grosse insegne che illuminano la desolazione dei nostri post (non) condivisi. Tutto sembra essere perfetto, satirico, intelligente, non c'è che dire.

Peccato però che anche queste immagini, come la maggior parte di quelle che, quotidianamente, scorrono veloci sotto le dita della nostra mano, ci siano giunte proprio grazie ad un condivisione virale, che lo stesso artista ne favorisca la promozione per mezzo del suo profilo Instagram, e che sul sito ufficiale del progetto, in alto a destra, tra un parcheggione abbandonato e un altro, siano incasellati (e pure in bella mostra) i vari loghi dei social network attraverso cui è possibile conoscere e seguire l'autore di questo lavoro artistico Antisocial!

Sembra pazzesco. E lo è: siamo nel bel mezzo di un cortocircuto innegabile. Ma, forse, proprio questa incoerenza di fondo legata alle foto antisocial di Campau, può aiutarci a formulare la risposta che stavamo cercando.

Le esistenze sui social network si restituiscono al mondo sotto le mentite spoglie di numeri primi, è vero. Ma è anche vero che una comunità cibernetica di solitari, capaci al contempo di interagire e colloquiare tra loro, non s'era mai vista prima d'ora. E questo, tutto sommato, ci fa ben sperare. Dobbiamo solo imparare a saperci regolare.