La riforma Pensioni torna a scaldare il dibattito politico, alla luce dei recenti dati Istat che fanno emergere con evidenza le differenze di reddito pensionistico tra uomini e donne. Secondi i dati dell’istituto, ledonnepensionatepercepiscono infatti una pensione pari al 62,2 percento in meno rispetto a quanto riscosso dalla media degli ex lavoratori di sesso maschile.
Il lavoro femminile, come evidenziato dal rapporto, è fortemente caratterizzato dalla frammentarietà dei periodi di impiego, ma le premesse di questa discriminazione previdenziale nei confronti delle donne sembrano essere state scritte anni fa, quando il legislatore ha optato per un sistema previdenziale di tipo contributivo, anziché retributivo, nel quale la pensione è calcolata sui contributi previdenziali effettivamente versati,sancendo, di fatto, la disuguaglianza di genere.
Il tasso d’interruzione dell’attività lavorativa femminile per motivi familiari, fa sapere il rapporto, è pari al 22,4 percento delle donne con meno di 65 anni e, nella maggior parte dei casi, la cessazione dell’impiego è determinato dalla nascita di un figlio. Non solo: le donne lavoratrici sono interessate da lavori atipici più frequentemente dei loro colleghi maschi, vale a dire il 60,1 percento contro il 58,4 degli uomini. Inoltre, dopo gli anni ’90, il numero di donne che hanno adottato l’istituto del part time è salito vertiginosamente, comportando una minore retribuzione e importi più bassi di contributi versati.
In Italia le cure familiari paiono poggiare quasi interamente sulle spalle delle donne.
Il 72 percento delle ore di lavoro di cura della coppia con figli sono svolte dalle madri, parallelamente il nostro Paese continua a caratterizzarsi per una troppo bassa offerta di servizi per l’infanzia e le madri lavoratrici devono scontare una difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia.
L’Unione Europea da tempo promuove misure volte a favorire l’eguaglianza di genere e la condivisione dei ruoli, rendendo noti i progressi ottenuti in materia attraverso una relazione annuale. Allo stesso tempo, l’Italia pare aver rinunciato a una propria politica sulle pari opportunità, dopo lo smembramento delle deleghe una volta attribuite a un ministero unico.