Altre aziende farebbero carte false per dei risultati di questo tipo, ma per Under Armour, l'azienda produttrice di abbigliamento sportivo alto di gamma a forti contenuti tecnici, non sono bastati a placare le ansie degli analisti: i ricavi del quarto trimestre 2016, chiuso il 31 dicembre, sono cresciuti del 12%, raggiungendo quota 1,31 miliardi di dollari (4,8 miliardi su base annuale nel 2016, +23%); il margine lordo è risultato del 44,8%; le vendite dirette al consumatore (saltando quindi la grande distribuzione e garantendo margini più alti) sono cresciute del 23% arrivando a 518 milioni di $.

Ma, si sa, nella vita come nel business è tutto relativo, dipende dalle aspettative: e allora, dato che gli analisti si aspettavano una crescita su base trimestrale di non meno del 20%, un 12% è risultato deludente, da qui il downgrade delle azioni e il conseguente tonfo in borsa, che inizialmente aveva raggiunto addirittura il 25%.

Perché gli ottimi risultati non sono bastati per convincere i mercati

Sarà anche colpa dell'azienda fondata e guidata da David Plank, ex giocatore di football, che aveva abituato male i mercati mettendo a segno per ben 26 trimestri consecutivi una crescita dei ricavi di non meno del 20%, ogni volta. Poi gli analisti si mettono a razionalizzare, e quindi hanno giustificato il brutto voto in pagella con una particolare debolezza del mercato nord americano, che rimane di gran lunga il più importante, ma ha registrato una crescita delle vendita pari ad un magro - per gli standard da record mondiale di Under Armour - 5.9% contro medie passate del 24%; margine lordo addirittura in discesa del 3,2%, incremento dei costi del 9% e guadagni per azione a 23 centesimi contro i 25 delle aspettative.

Hanno fomentato la delusione dei mercati finanziari le dimissioni del Direttore Finanziario dell'azienda, Chip Malloy, dopo soli 13 mesi, ufficialmente per motivi personali. Ufficialmente, appunto.

L'utile netto 2016, pari a 259 milioni di $, è comunque poca cosa rispetto ad un fatturato totale pari a circa 5 miliardi di dollari, come abbiamo visto.

Ma il motivo di utili così risicati - in proporzione - è il piano dichiarato da Plank ad Ottobre, di raggiungere Nike in termini di fatturato, e di conseguenza investire tanto, sacrificando i profitti nel breve termine, in cambio di una crescita sostenuta; sembra di sentire Jeff Bezos parlare di Amazon. In questo senso, però, i fatti hanno dato torto a Plank, se la crescita è la priorità rispetto ai profitti, è pur vero che per gli standard a cui ci hanno abituato aziende come Amazon, oltre alla stessa Under Armour, un 12% appare insufficiente.

E comunque il fatturato delle due aziende non è neanche lontanamente comparabile in valore assoluto, altro motivo che ha reso scettici gli analisti sulla strategia di Plank.

La produzione ritorna negli USA, uno schiaffo alla globalizzazione

Anticipando i desideri di Trump, Under Armour ha appena lanciato la prima linea di abbigliamento femminile, chiamata Lighthouse, interamente concepita e prodotta negli States (fabbrica e operai rigorosamente USA), a Baltimora per la precisione. Questo, per un mondo come quello delle aziende di abbigliamento sportivo, in cui ormai da decenni non si produceva più nulla in occidente per risparmiare sui costi di produzione, rappresenta già di per sé una rivoluzione. Se poi va nella stessa direzione dei nuovi venti che soffiano dalla Casa Bianca, tanto meglio, avrà pensato Kevin Plank, self made man di 44 anni, ennesima incarnazione del sogno americano.