La cosiddetta "legge Fornero" è al centro del dibattito politico, soprattutto con l'avvicinarsi della prossima scadenza elettorale. Nonostante, soprattutto da parte dei partiti di centro-destra, venga avanzata l'ipotesi di abolire la più recente riforma del sistema pensionistico italiano, gli oneri connessi alla sua eliminazione sarebbero insostenibili: in una ricerca pubblicata su Luiss Open, ripresa di recente da Il Foglio, il professor Michel Martone fornisce una stima di costo nell'ordine degli 80-90 miliardi.
Con buona pace di coloro che cercano di acquisire un facile consenso di breve termine, con argomentazioni non sostenibili, la struttura demografica di un paese con una quota di anziani tra le più elevate al mondo, un'aspettativa di vita in crescita e una struttura finanziaria presente ancora pesantemente squilibrata (ad oggi il totale delle prestazioni erogate è superiore ai contributi raccolti) non consente alcuna revisione in termini di revisione al ribasso dell'età pensionabile.
Perché tutti (s)parlano della riforma Fornero ma nessuno l'abolisce, per fortuna. @michelmartone lo spiega su @ilfoglio_it https://t.co/0DTjHhoSJx cc @ricpuglisi @CottarelliCPI @CarloStagnaro @mrctrdsh @fsaraceno #LUISSOpen
— LUISS Open (@LUISSopen) January 8, 2018
L'evoluzione della struttura demografica
I principali squilibri del sistema pensionistico italiano, ai quali ha cercato di porre rimedio la riforma delle Pensioni promossa nel 2011 dal ministro Elsa Fornero, derivano dal mancato adeguamento del meccanismo di calcolo dei trattamenti pensionistici all'evoluzione della struttura demografica del paese.
Come ricordato nel saggio del prof Martone, le pensioni di anzianità e il sistema retributivo, in base al quale le prestazioni previdenziali sono legate alle ultime retribuzioni e non ai contributi versarti sono stati introdotti in un epoca, il 1968 con la riforma Brodolini, in cui il profilo demografico del paese era molto differente rispetto al presente: la quota di giovani rispetto agli anziani era molto superiore, il tasso di fertilità più elevato (nel 1970 raggiungeva un picco di 2,7) e un'aspettativa di vita di 65 anni.
Oggi il tasso di fertilità è crollato ad un valore di 1,27, l'età media della popolazione si attesta a 44 anni e oltre il 20% della popolazione ha più di 65 anni e il recente rapporto Pensions at a Glance 2017 ha come sia già in atto un rilevante trasferimento di risorse dai cittadini più giovani a quelli più anziani.
Lo squilibrio residuo dietro la propaganda
Mentre la cattiva informazione giunge a fornire anche messaggi fuorvianti, come quando la UIL diffonde i dati sull'età ufficiale di pensionamento nel nostro paese, senza chiarire che il dato effettivo è significativamente più basso, rimane un problema di fondo: nonostante le limitate correzioni operate dalla legge Fornero il sistema previdenziale italiano continua a erogare prestazioni sproporzionate rispetto ai contributi versati e incompatibili con la struttura demografica contemporanea.
Questo si traduce in oneri previdenziali estremamente elevati per i giovani lavoratori, nell'allocazione ai trattamenti pensionistici di rilevanti risorse in carico al bilancio dello stato e in prospettive in peggioramento per le classi più giovani di lavoratori.
Ne consegue che le revisioni del sistema, che potrebbero ridurre lo squilibrio, vanno in direzione esattamente opposta a quella attualmente in discussione nel corso della campagna elettorale.