Dopo cinque giorni di trattative è stato finalmente raggiunto un accordo sul Recovery Fund, che conferma una raccolta complessiva di 750 miliardi sul bilancio europeo 2021-2027 che sarà potenziato arrivando a un totale di 1074 miliardi. L'Italia dovrebbe ricevere il 28% degli stanziamenti totali pari a circa 209 miliardi ripartiti tra 127 miliardi di prestiti e 82 miliardi di trasferimenti.

SI tratta di un accordo molto importante perché apre la strada alla emissione di titoli di debito comune (Eurobond) per un controvalore senza precedenti e include la possibilità che alcuni Paesi ricevano anche dei trasferimenti per far fronte ai danni ricevuti dalla pandemia e non solo prestiti come inizialmente avrebbero voluto i Paesi caratterizzati da finanze pubbliche più solide.

Recovery Fund: il diritto di veto

Uno dei principali temi di discussione ha riguardato i meccanismi di controllo e di condizionalità sull'impiego delle risorse ricevute dal fondo. In particolare i Paesi che la stampa ha definito "Frugali", Olanda, Austria, Danimarca,Svezia e Finlandia, hanno chiesto e ottenuto una forma di controllo aggiuntivo sui programmi di spesa che viene definita 'Super Freno di Emergenza'.

In sintesi, il Consiglio approva a maggioranza qualificata i piani di spesa dei singoli Paesi su proposta della Commissione Europea. Il monitoraggio sull'adempimento di questi piani viene affidato al comitato economico e finanziario, un organo composto da funzionari delle Banche centrali, della Bce e dei ministeri delle Finanze e del Tesoro.

Nel caso in cui qualche Paese ravvisasse delle irregolarità o aree di intervento può rinviare la questione al Consiglio europeo. Si tratta di una soluzione di compromesso rispetto alla richiesta iniziale del premier olandese Rutte che, volutamente estrema, prevedeva un diritto di veto in capo a ciascun governo nazionale sui programmi di spesa dei destinatari dei fondi.

La narrazione sul conflitto tra Rutte e Conte per il Recovery Fund

Nel corso delle trattative, spesso i media hanno rappresentato una sorta di braccio di ferro tra i Paesi frugali, rappresentati dal premier olandese Rutte, e il resto dei membri dell'Unione che erano sostanzialmente concordi sulle modalità di funzionamento del nuovo fondo.

In realtà, a ben guardare e al netto della retorica di circostanza, si sono confrontati due diversi modelli di concepire l'Unione europea. Dal punto di vista dei paesi come la Danimarca, la preferenza è per una elevata integrazione dei mercati e dei sistemi economici, senza al contempo alimentare una crescita della burocrazia centrale. Per quanto concerne paesi come Francia e Germania, che in questa sede si trovavano d'accordo con i paesi più deboli come Italia e Spagna, l'idea è di avere anche delle istituzioni politiche forti che possano opportunamente intervenire in circostanze di emergenza come quelle determinate dalla pandemia.

Come verranno impiegate le risorse del Recovery Fund

Mentre la maggioranza dei quotidiani e dei media europei trasmettono un clima positivo per l'accordo raggiunto, alcuni nodi rimangono ancora da sciogliere, in particolare la declinazione di come i fondi verranno impiegati per non incorrere in sanzioni o interruzioni dei contributi.

Ad oggi il totale delle risorse messe in campo per fronteggiare le conseguenze negative della pandemia raggiungono circa 1800 miliardi, sommando al bilancio UE anche il programma di acquisti straordinari avviato dalla BCE noto come Pandemic emergency purchase programme o PEPP.

Si tratta di una iniziativa senza precedenti che dimostra una forte volontà dei paesi dell'unione di affrontare congiuntamente le difficoltà derivanti dallo shock economico legato alle misure di lockdown. In questo quadro diventa fondamentale che i paesi come l'Italia, che in passato hanno mantenuto squilibri macroeconomici e non hanno portato a termine le riforme strutturali raccomandate, agiscano in modo deciso per dimostrare di saper utilizzare le risorse ricevute.