Fastweb, il gestore telefonico che per primo, in Italia, ha cablato intere città con la fibra ottica rendendo le trasmissioni e la connessione internet estremamente veloci, è stata censurata dal Giurì della Pubblicità a causa di una campagna pubblicitaria che, se non ingannevole, è risultata quantomeno fuorviante. Vediamo di capire meglio di cosa si tratta, su quali basi il Giurì ha bloccato Fastweb, e quali potrebbero essere le conseguenze sul mercato telefonico e sui consumatori in particolare.

Gli spot censurati

I messaggi pubblicitari incriminati sono due.

Nel primo spot si vedono dei passeggeri a bordo di un aereo pronto al decollo, che vengono avvisati del fatto che tutta una serie di servizi, dall'usufruire della toilette fino all'utilizzo dei sacchettini di carta per vomitare, sono a pagamento. Questo perché tutte le altre compagnie, eccezion fatta per Fastweb, addebitano dei costi nascosti. In una seconda pubblicità si vede un personaggio maschile di nome Piero che, durante una seduta degli alcolisti anonimi, racconta di essersi finalmente liberato della dipendenza dalle compagnie telefoniche che prosciugavano tutto il suo credito e quello dei suoi familiari.

L'obiettivo di questa campagna, ovviamente, era quello di marcare la differenza tra Fastweb, che appariva come l'unico operatore veramente onesto e trasparente in relazione ai costi da addebitare ai clienti, e tutti gli altri operatori che, in tal modo, venivano descritti come sleali, brutti e cattivi.

I principali competitor di Fastweb, cioè Tim, vodafone e Wind Tre non hanno gradito, e hanno immediatamente portato all'attenzione del Giurì della Pubblicità la campagna pubblicitaria giudicata denigratoria nei loro confronti e fuorviante. E in effetti, il garante dell'Autodisciplina pubblicitaria ha accolto queste istanze.

Le motivazioni della decisione del Giurì

Il Giurì della Pubblicità ha messo in evidenza, nelle sue motivazioni, che il perno centrale della campagna pubblicitaria erano il prezzo e gli elementi di costo dell'offerta Fastweb. Di conseguenza quest'ultima, nei messaggi pubblicitari, avrebbe dovuto - a norma di legge - segnalare tutte le voci di costo del servizio, circostanza che non si è verificata.

Nei messaggi, infatti, non veniva indicato che era necessario pagare 5 euro una tantum per la sim, ed effettuare una prima ricarica di almeno 15 euro.

Anche se l'operatore telefonico negli spot rimandava ad altre fonti informative per il dettaglio di tutti i costi, il Giurì ha fatto notare come, nelle pubblicità, queste fonti, ad esempio il servizio telefonico 146, non fossero segnalate neanche da un asterisco.

Questi e altri elementi sono stati giudicati illegittimi dal Giurì. Bisogna riconoscere, a onor del vero, che mentre la campagna pubblicitaria era sotto esame, e prima dell'intervento dell'Istituto dell'Autodisciplina pubblicitaria, Fastweb aveva già provveduto a correggere i suoi spot.

Nonostante ciò, è stato stabilito che l'azienda interrompa la campagna pubblicitaria nei suoi contenuti fuorvianti e che provveda, a sue spese, a rendere nota la decisione su un quotidiano a tiratura nazionale specificando, almeno in sintesi, le motivazioni della stessa.