L'Economist ha dedicato l'editoriale di punta di questa settimana al problema della misurazione della disuguaglianza. Secondo il quotidiano britannico, i quattro argomenti chiave alla base della diffusa convinzione che questa variabile economica sia in crescita possono essere messi in discussione da un analisi più accurata delle evidenze empiriche a disposizione.
Il fatto che la disuguaglianza non sia misurata correttamente, non riduce l'urgenza di affrontare gli elementi di ingiustizia che caratterizzano i nostri sistemi economici, ma suggerisce la strategia più prudente per i governi sia di dedicarsi a politiche economiche con basi più solide come il contrasto delle rendite, la promozione della concorrenza e della circolazione delle risorse umane qualificate oltre che la promozione di soluzioni abitative conveniente per le aree che attraggono il maggior numero di lavoratori.
La quota di ricchezza dell'1% più ricco
Il primo argomento rimesso in discussione riguarda l'ormai famigerato 1% più facoltoso della popolazione, che negli ultimi decenni avrebbe visto crescere la propria quota sul prodotto complessivo in modo molto maggiore rispetto al resto della popolazione. Secondo alcuni studi riportati dal settimanale, invece, la quota spettante al 1% più ricco in America sarebbe cambiata di poco rispetto al 1960. I risultati delle indagini precedenti sarebbero stati distorti da interpretazioni non corrette dei dati delle dichiarazioni dei redditi, da una classificazione errata delle famiglie, specie nelle fasce di reddito più basse e dalla mancata considerazione della quota di profitti aziendali che arrivano alle famiglie attraverso i fondi pensione (tra il 1960 e il 2015 la quota di famiglie che li percepisce è salita dal 4% al 50%)
La stagnazione dei redditi da lavoro
Il secondo argomento messo in discussione riguarda la convinzione che i redditi da lavoro delle famiglie siano rimasti stagnanti nel lungo periodo.
Le stime della crescita del reddito mediano corretto per l'inflazione in America nel periodo 1979-2014 variano da -8% a +51%: la variabilità così elevata riflette le differenze nel modo di trattare l'inflazione, i trasferimenti pubblici e la definizione di famiglia.
È abbastanza evidente che in taluni studi si è scelto il valore che meglio confermava le tesi che si volevano argomenta.
Tuttavia affermare che il reddito si sia ridotto significa anche sostenere che quattro decenni di innovazione nei beni e servizi, dai telefoni cellulari e lo streaming video alle statistiche per abbassare il colesterolo, non abbiano migliorato la vita dei cittadini che percepiscono il reddito mediano e questo appare poco credibile.
La vittoria del capitale sul lavoro
Il terzo elemento riguarda, l'idea che il capitale abbia trionfato sul lavoro, poiché imprese spietate, di proprietà dei ricchi, hanno sfruttato i loro lavoratori, spostato i posti di lavoro all'estero e automatizzato le fabbriche. L'affermazione che la disuguaglianza è guidata dai ricchi che accumulano capitale è stata una tesi centrale del libro di Thomas Piketty, "Capital in the Twenty-First Century" ed ha contribuito all'affermarsi della convinzione che nel tempo una quota crescente del prodotto interno lordo sia andata ai proprietari del capitale mentre si sia ridotta quella andata ai lavoratori.
Recenti ricerche, tuttavia, suggeriscono che il fenomeno descritto da Piketty sia in realtà spiegato nella maggior parte dei paesi ricchi dall'incremento di valore degli immobili.Eliminare gli alloggi e i guadagni dei lavoratori autonomi (per i quali è più complesso distinguere la componente attribuibile al lavoro rispetto al capitale) nella maggior parte dei paesi la quota di PIL attribuibile ai redditi da lavoro non è diminuita.
L'ultimo argomento, che riguarda disuguaglianza in termini di ricchezza, intesa come somma algebrica di attività e passività presenta serie difficoltà di misurazione: in Danimarca, uno dei pochi paesi per il quale esistono dati sufficientemente dettagliati, la quota di ricchezza dell'1% più ricco non è aumentata per tre decenni.