Il terrorismo è un grande spauracchio per tutti e i nostri vicini d'Oltralpe, i francesi, sembrano patirlo più di altri, oppure ne stanno approfittando? Già nel 2015 il Parlamento francese aveva definitivamente approvato la 'loi sur le renseignement', norma che consente la raccolta massiccia dei dati della popolazione. Questo vuol dire che tutti i metadati delle comunicazioni vengono filtrati da apparecchi capaci di registrarli. La popolazione, con in testa l'associazione La quadrature du net, ha protestato a più riprese senza esito.
Nuova possibilità di schedatura
Oggi si viene a sapere che domenica 30 ottobre 2016 la gazzetta ufficiale francese (Journal Officiel) ha ufficializzato un decreto del Governo fondendo i due sistemi di raccolta dati esistenti, quello delle carte d'identità e quello dei passaporti, creando un vero e proprio database biometrico. Lo scopo ufficiale è quello di contrastare la criminalità e impedire falsificazioni dei documenti. Un volume enorme di dati personali di 60 milioni di cittadini, tra cui persino il colore dell'iride, oltre alle impronte digitali e ai dati anagrafici, nome, luogo di nascita, genere sessuale, assieme ovviamente a fotografie ed altre informazioni. Questi dati saranno conservati dal TES (Titres Electroniques Securisés) per venti anni e saranno a disposizione di forze dell'ordine, Interpol e dei coordinamenti informativi dei paesi dell'area Shengen, pur con alcune condizioni che andranno rispettate.
Pericolo di cyber-attacchi e furti di dati
Vari opinionisti francesi ed internazionali hanno lanciato segnali di allarme su questa iniziativa e il giornale Nouvelle Observateur ha scritto di un database "effrayant", che fa venire i brividi. Dalle colonne di Liberation è il senatore Gorce, membro dell'authority che in Francia sorveglia sulla tutela dei dati personali a tuonare contro il decreto governativo.
La EDRI (European Digital Rights) ha fatto notare per bocca del suo direttore John McNamee, come una tale raccolta di dati indiscriminata sia poco efficace ed esponga inoltre a rischi di cyber-attacchi. Un unico database che raggruppa tutte le informazioni aumenta i rischi potenziali, in quanto l'impatto di un furto o di una pubblicazione dei dati sarebbe molto più ampio.
McNamee conclude affermando che non si può cedere alla paura in questo modo senza minare le basi della nostra democrazia. Il Prof. Maurizio Mensi, docente di Diritto delle Informazioni e della Comunicazione all'università Luiss ha detto, parlando a Radio Vaticana, che lo strumento utilizzato è molto delicato tanto da suscitare preoccupazioni rilevanti, per quanto riguarda la protezione dei diritti individuali e quelli della privacy. E' innegabile che ci sia una certa efficacia contro il terrorismo, ma sarebbe fondamentale poterne verificare le modalità di utilizzo, oltreché stabilire delle regole precise per la protezione della privacy dei cittadini.