Ancora non erano usciti dall’ospedale i feriti dell’attacco terroristico al concerto di Ariana Grande a Manchester qualche settimana fa, e il Regno Unito deve fare i conti con l’orrore di un altro attentato. Sette persone sono morte ieri in pieno centro di Londra durante un doppio attacco commando. La dinamica è molto simile a quella compiuta dagli estremisti dello Stato Islamico. Il saldo dei morti purtroppo potrebbe aumentare nelle prossime ore: altre 48 persone sono rimaste ferite e molte di loro sono in stato critico di salute. Tuttavia, l’opinione pubblica sembrerebbe più commossa per l’attacco di Londra che di quello di un giorno fa a Kabul, dove 20 persone sono morte mentre erano ad un funerale.
“I morti valgono lo stesso”
Secondo Marta Serafini, giornalista del Corriere della sera ed esperta di terrorismo, i morti degli attacchi terroristici a Londra Kabul o Bagdad hanno lo stesso valore e significato. “Credo che quando facciamo il nostro lavoro – spiega la giornalista – dobbiamo fare uno sforzo enorme per andare oltre l’emotività e cercare di capire come un attentato in Medio Oriente o in Europa sia la stessa identica cosa e come sono collegati più di quanto pensiamo. Non è moralismo. È buon senso, perché abbiamo tutti una parte di responsabilità”. Serafini pensa che “la soluzione di censurare internet – come da tempo propone lo stesso governo britannico o come pensano molti colleghi giornalisti che pensano così di salvarsi la poltrona – mi fa cadere le braccia”.
I terroristi più pericolosi sono in Europa?
L’impatto dell’attacco a Londra, in confronto a quello a Kabul, è minore in termini quantitativi. Ma è Londra una città “migliore” di Kabul? Il relativismo della tragedia forse ha a che vedere con la caduta di un mito: che la guerra dellp jihadismo si combatte in territori lontani, che non appartengono all’Occidente.
Nel libro Isis in guerra, l’esperto di terrorismo Mariano Beldyk spiega perché i terroristi più pericolosi sono quelli rimasti in Europa, che non sono potuti andare al Califfato.
Le due strategie dello Stato Islamico
Secondo Beldyk, gli esperti dell’Institute for the Study of War a Washington, Jessica Lewis McFate e Harleen Gambhir, hanno spiegato che l’Isis non è più un problema regionale.
In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, gli analisti di strategia di contro-terrorismo sostengono che nelle zone vicine alla Siria e l’Irak, dove c’è effettivamente il Califfato, l’organizzazione terroristica si occupò in maniera diretta di finanziare e allenare i combattenti. Invece nel resto del mondo cercò un piano di offensiva a distanza, che è risultato molto efficace e a basso costo. L’obiettivo non era quello di conquistare altri territori in un breve periodo, ma coltivare il sentimento di odio per farlo agire contro le società occidentali. Come sta già accadendo.
La truppa misteriosa dell’estremismo islamico
“Cosa c’è di reale nelle informazioni di fonti anonime e quanto è soltanto un tentativo di mantenere lo stato di terrore in cui i terroristi sembrano muoversi a proprio agio, è difficile saperlo – scrive Beldyk -.
Non ci sono mai state informazioni complete sulle posizioni dell'Isis perché non si sono mai identificati completamente i mille combattenti che si sono arruolati, molti di loro stranieri”. Per l’esperto, un’importante percentuale degli attacchi sono attribuiti ai “lupi solitari”, uomini e donne che non agiscono in maniera diretta sotto gli ordini del Califfato – o altre organizzazioni -, ma si organizzano da soli, ispirate però all’estremismo islamico e con risultati molte volte più letali dai comandi preparati. Questo però non identifica questi soldati dell’Islam come membri dello Stato Islamico.