Il terrorismo islamico, nel Regno Unito, ha colpito due volte nelle ultime settimane, nell'imminenza delle Elezioni anticipate che si terranno giovedì 8 giugno, volute dal governo conservatore di Theresa May. Come è noto, nella serata del 3 giugno, a Londra, dei terroristi e un furgone lanciato sulla folla hanno causato 7 morti e 21 feriti gravi. Dei tre attentatori - uccisi dalla polizia – uno era un cittadino marocchino; un'altra era una britannica di origine pachistana; mentre del terzo non è stata ancora comunicata l'identità.

In precedenza, il 22 maggio, a Manchester, durante il concerto della popstar statunitense Ariana Grande, un altro attentato, rivendicato dall’Isis, ha causato 22 morti e 122 feriti, per la stragrande maggioranza giovani e giovanissimi.

Anche in questo caso l'attentatore – suicida - era un britannico di origine libica, così come libica era la sua famiglia, i cui componenti sono stati arrestati per concorso nella strage. Nessuno dei criminali, dunque, sia a Manchester che a Londra, possedeva la cittadinanza di un paese dell'Unione Europea.

Chiaramente, i due attentati hanno gettato il Regno Unito nella confusione e nello sconforto, ed affermare che i due eventi non siano collegati al voto di giovedì prossimo è una pura ingenuità.

Non sono i lavoratori UE a portare il terrorismo in UK

Lo stato confusionale in cui versa la Gran Bretagna, tuttavia, non ha origine dall'attuale situazione di ordine pubblico, ma viene da lontano: quantomeno proprio dal voto dell’anno scorso che ha sancito la vittoria della Brexit, anche se per pochi voti.

La nazionalità degli attentatori di Manchester e Londra, infatti, smentisce clamorosamente l'assunto secondo cui la libera circolazione dei lavoratori europei oltremanica alimenti il terrorismo, o comunque minacci la sicurezza.

Un voto, quello relativo alla Brexit, voluto fortemente dall'ex premier David Cameron con l’obiettivo di rafforzare la sua politica di permanenza nell'UE, ma dal quale è uscito sconfitto, con conseguenti dimissioni.

La consultazione referendaria, per la Gran Bretagna, non riguardava la permanenza nell'Eurogruppo, di cui non ha mai fatto parte. Qualora si dovesse giungere anche alla chiusura della libera circolazione delle merci britanniche nel continente europeo, si rischierebbe di andare incontro ad una disoccupazione galoppante ed ai fallimenti di diverse aziende, per non parlare del pericolo di secessione della Scozia e dell'Irlanda del Nord, che vorrebbero rimanere in Europa.

May come Cameron?

Anche la premier Theresa May, succeduta a Cameron, ha voluto la presente consultazione elettorale, che porterà al rinnovo della Camera Comuni – il ramo elettivo del Parlamento britannico – puntando, come il suo predecessore, a rafforzarsi politicamente. I sondaggi, solo tre mesi fa, le davano ragione, attribuendole una maggioranza di oltre cento seggi contro la trentina attuale, ereditati proprio da David Cameron.

Oggi i sondaggi danno il partito laburista in costante crescita, infatti il vantaggio di venti punti percentuali di soli tre mesi fa dei conservatori di Theresa May, attualmente si sarebbe ridotto a soli tre punti, gettando nel panico la City. Infatti, qualora dovesse essere questo l'esito delle elezioni, si arriverebbe ad un Parlamento privo della maggioranza necessaria per sorreggere un governo composto da un unico partito e, di conseguenza, sarebbe necessario formare una coalizione, o addirittura indire nuove elezioni, aggiungendo ulteriore confusione al quadro politico attuale.

Una situazione simile si ebbe nel 1974, quando il premier Edward Heath - anch’egli del partito conservatore - andò al voto anticipato, nonostante avesse la maggioranza parlamentare, e ne uscì sconfitto. Gli successe un governo di coalizione composto da laburisti e liberaldemocratici. Nel frattempo, gli attentati terroristici non portano di certo acqua al mulino del governo in carica.