Lo stato d’emergenza come scusa per limitare le libertà individuali. È quanto sarebbe emerso dall’ultimo rapporto di Amnesty International sulla Francia dal titolo “Un diritto, non una minaccia: restrizioni sproporzionate delle manifestazioni sulla base dello stato d'emergenza”. Blasting News ne ha discusso con Stefano Dorigo, dottorando di antropologia specializzato nei movimenti di protesta radicali presso l’università Paris 8.

È vero come si legge sul rapporto che in Francia c’è una repressione incontrollata delle proteste con la scusa del terrorismo?

Adesso è in atto un processo che in realtà dura da tanti anni, ovvero una gestione del territorio e delle zone sensibili della Repubblica francese, di tipo coloniale. C’è una gestione colonialista delle forze dell’ordine e dei vari problemi di ordine pubblico. Questo si traduce con il fatto che le manifestazioni non sono più un evento da far seguire alle forze dell’ordine con l’intento di garantire l’ordine pubblico. Diventano un fenomeno sociale che va scoraggiato in quanto portatore potenziale di turbe al vivere civile. Non è una repressione incontrollata in senso letterale, le violenze e gli abusi della polizia fanno parte di una strategia specifica. La proclamazione dello stato d’emergenza ha peggiorato la situazione.

Ha dato una grande accelerata a questo processo di gestione coloniale del territorio e delle forze dell’ordine.

Come è cambiata Parigi dallo stato d’emergenza proclamato per la prima volta dopo gli attacchi di novembre 2015?

Nel quotidiano si è avuto soprattutto per il cittadino comune un incremento dei controlli, ad esempio si viene controllati per entrare in un centro commerciale, o per accedere ad un ente pubblico.

Prima di entrare in università regolarmente viene controllata la mia borsa e devo svuotare le tasche. In maniera generale la proclamazione dello stato d’emergenza ha comportato tutta una serie di restrizioni alle libertà personali fra cui, ad esempio, la perquisizione senza mandato nei vari domicili e l’arresto preventivo. Il diritto a manifestare è stato limitato, che poi questa direttiva sia stata applicata con difficoltà è un’altra questione.

Quanto c’è di vero in ciò che ha dichiarato l’Eliseo, ovvero che le manifestazioni non sono autorizzate perché non si vogliono disperdere le forze di polizia che devono essere tutte impegnate nella lotta al terrorismo?

È vero che la polizia e lo stato per quanto possano avere molte forze a disposizione, non ne hanno di illimitate. In parte questa affermazione può essere vera ma va vista caso per caso, è una delle scuse che usa lo Stato per limitare le capacità di manifestazione.

Quante manifestazioni contro la polizia ci sono state fino ad oggi?

Dall'anno scorso ad oggi, con la mobilitazione contro la riforma sul lavoro ci sono state svariate proteste contro la polizia. Però quest'anno si sono intensificate a partire dal cosiddetto "Affaire Théo".

Un povero ragazzo di periferia è stato sodomizzato dalla polizia a colpi di manganello. Le proteste contro le forze dell’ordine si sono fatte più mirate e più determinate. Questo avveniva verso febbraio del 2017 ed ha scatenato un ciclo di lotte con diverse manifestazioni e cortei selvaggi alimentati dal comportamento arrogante della polizia. Quando alcuni agenti della polizia hanno ucciso un padre di famiglia con 5 figli nella sua abitazione, anche la comunità cinese ha iniziato a manifestare contro gli agenti.

Che cosa è successo il giorno prima del ballottaggio?

Per tutto il periodo della campagna elettorale, in particolare nelle due settimane fra il primo e il secondo turno, la Francia in particolare Parigi è stata attraversata da una serie di proteste ingovernabili che rifiutavano qualunque prospettiva politica.

Il grido di ogni corteo era “Chiunque vincerà la lotta continuerà” e i leader della manifestazioni spiegavano che a prescindere dal candidato eletto non ci sarebbe stato nulla da fidarsi. La “notte delle barricate”, la notte stessa del primo turno di elezioni, nel momento in cui si è saputo del ballottaggio, migliaia di manifestanti si son ritrovati nelle strade di Parigi per esprimere il loro rifiuto verso il sistema elettorale inscenando proteste molto forti contro i simboli del capitalismo e dello stato con cortei selvaggi in giro per la città.

È stata chiamata notte delle barricate perché hanno fatto diverse barricate quasi in ogni piazza di Parigi. Tra i manifestanti, soprattutto studenti del liceo e dell’università ma non solo.

Il primo maggio c’è stata una manifestazione molto forte, e molto repressa dalla polizia, con centinaia di feriti e una donna di 60 anni si è ritrovata con le braccia e le gambe rotte a seguito di una caduta dalle scale provocata dal movimento in folla. Il ciclo di lotta che ha riguardato le elezioni si è concluso l’8 maggio con un corteo del Fronte Sociale. Il Fronte Sociale è questo cartello sociale in cui transitano associazioni sindacali e gruppi di estrema sinistra con una manifestazione importante che si è svolta con qualche incidente ma che voleva rimarcare il concetto “chiunque vinca non avrà mai la nostra fiducia e dovrà confrontarsi con noi”.

Che cosa dovrebbe fare Emmanuel Macron, il presidente neo eletto?

Macron dovrebbe ascoltare e dare voce alle proteste e al disagio sempre più diffuso in merito alle politiche di austerità e di liberalizzazione messe in atto negli ultimi anni.

Dovrebbe riuscire a staccarsi da queste politiche e intraprendere tutta una serie di misure atte a proteggere le fasce più deboli della popolazione, atte a incentivare soprattutto i diritti dei più deboli e atte a garantire le tutele sul piano del lavoro. La Francia era uno dei paesi con lo stato sociale più avanzato e per questo sta ricevendo più attacchi negli ultimi anni. Il presidente dovrebbe mettersi a difesa dei diritti della povera gente. Macron non farà nulla di tutto questo perché è uno dei promotori delle politiche neoliberali dedite all’impoverimento collettivo ed è anche uno dei più favorevoli alle politiche repressive.

Come si sono evoluti gli scontri negli ultimi 10 anni?

Ci vorrebbe una tesi di dottorato per dare una risposta esaustiva, e occuperebbe svariati libri.

Se 16 anni fa potevamo vedere scontri soprattutto in occasione dei contro vertici o di altri episodi No global, di questi tempi le manifestazioni sono più forti ed hanno un livello di conflitto molto più alto rispetto al passato. Ora ci stiamo avviando verso un impoverimento generalizzato e verso un blocco dell’ascensore sociale, questo causa un malcontento soprattutto fra le fasce più giovani e fra le più impoverite. Detto questo quello che cambia ora è che prima soltanto una minoranza di soggetti autoreferenziali e isolati, più radicali, erano disposti ad un confronto diretto con la polizia, scontro che comprendeva coinvolgimento fisico con il rischio di prendersi conseguenze giudiziarie. Adesso invece questa volontà ha preso aspetti di massa.

Non è più solo una frangia ad essere disposta alla lotta, adesso settori della popolazione sempre più ampi hanno intenzione di manifestare la propria rabbia davanti al potere. Sempre più gente è disposta a fare gli scontri e a prendersi dei rischi per difendere i propri diritti e sperare di cambiare le cose.

In base alle sue dichiarazioni sembra di essere vicini ad una contingenza rivoluzionaria…

Ci sono tanti elementi che ci fanno pensare che le cose così come stanno non possono andare avanti. Lasciando perdere tutte le implicazioni a carattere geopolitico senza guardare Mosca e Washington, guardando il caso francese abbiamo visto l’anno scorso di avere una componente sociale che ha dimostrato che non si sarebbe fatta sottomettere nonostante il passaggio della riforma sul lavoro.

La stessa componente sociale è ritornata nelle piazze per esprimere il proprio dissenso e la propria voglia di cambiamento. Chiaro che non è una situazione rivoluzionaria, siamo ancora ben distanti però sempre più persone si rendono conto, prendono coscienza, che un vero cambiamento molto difficilmente passerà per le istituzioni. C’è un indebolimento di queste e la gente comincia a chiedersi con quali mezzi avverrà questo cambiamento.