Il primo ministro britannico Boris Johnson continua il suo percorso verso la Brexit attraverso una missiva indirizzata al presidente uscente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, invitandolo a un compromesso tanto costruttivo quanto ragionevole per evitare l'uscita dall'Unione Europea senza accordo il 31 ottobre. L'ulteriore richiesta del Premier, rivolgendosi stavolta alla Regina Elisabetta, è di sospendere il Parlamento dall'otto ottobre prossimo fino al 14 dello stesso mese, giorno in cui sarà poi pronunciato il discorso regale. Infatti, in Gran Bretagna la Regina può esporre le nuove linee programmatiche del governo soltanto dopo una sospensione del Parlamento.

Ma la situazione si complica massimamente nel momento in cui Johnson, intervenendo sulla spinosa questione irlandese, lancia un ultimatum "pragmatico" che prevede la sostituzione della clausola del backstop con provvedimenti alternativi.

Brexit entro il 31 ottobre

Il timore incombente di un divorzio non consenziente dall'Unione Europea continua ad agitare i ribollenti spiriti inglesi (e non solo), pienamente consapevoli delle nefaste conseguenze finanziare nel caso di un "no deal", ovvero di una rottura verificantesi senza la mediazione di un'intesa che possa renderla meno traumatica.

La legge approvata dal Parlamento britannico al principio del mese appena trascorso, secondo la quale l'uscita dall'Eurozona potrebbe essere rinviata al 31 gennaio prossimo nel caso in cui non si riuscisse a trovare un accordo entro il 31 ottobre, fa parte di una mossa strategica messa in atto dal primo ministro.

Johnson, infatti, intende procedere con la Brexit senza alcun rinvio e con o senza il raggiungimento di un'intesa, dalla quale, entrambi i contendenti potrebbero trarne profitti. In questo modo, non solo andrebbe contro la legge, ma indurrebbe la Commissione Europea a respingere l'accordo e ad essere così l'unica colpevole del fallimento dei negoziati.

I cinque punti di Johnson

Partendo dal presupposto di voler eliminare il backstop, la clausola che l'allora primo ministro Theresa May aveva siglato con l'Unione Europea per evitare nuovi controlli alla frontiera interna irlandese, l'attuale premier Johnson espone dettagliatamente le sue proposte attraverso l'articolazione di cinque punto programmatici.

Come prima cosa è necessario trovare trovare soluzioni che non minaccino in alcun modo la pace nell'Irlanda del Nord. In secondo luogo, la Gran Bretagna si impegna nel mantenere legami pacifici con la terra irlandese, compresa la libera circolazione dei cittadini. Al fine di evitare i controlli alla frontiera, per quanto attiene al terzo punto della proposta, Johnson asserisce la necessità di creare una zona di regolamentazione fino al 2024, un trait d'union tra Dublino e Belfast, in cui vigerebbe un unico sistema di leggi riguardante tutte le merci e coinvolgendo persino il settore agroalimentare. La creazione di una tale zona non deve e non può essere imposta, ma deve dipendere da un consenso univoco, tale è il quarto punto.

Il quinto e ultimo punto è il più difficile è controverso da comprendere, in quanto prevede che dopo il periodo di transizione, l'Irlanda del Nord non farà più parte del territorio doganale europeo, bensì britannico. In altri termini, l'Irlanda abbandonerebbe l'unione doganale, ma continuerebbe a far parte del mercato unico.