Manca ormai poco alla presentazione della legge di stabilità e sembra che le discussioni sulla riforma delle Pensioni siano già storia passata. Le ipotesi di più flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e del prestito ai lavoratori attraverso il Tfr non possono da sole risolvere il problema: occorre intervenire sulla riforma delle pensioni in modo più incisivo. Il ministro del Welfare Poletti e il presidente della commissione Lavoro alla Camera Damiano, sono concentrati sul Jobs Act e nel frattempo, si assiste ad uno scambio dialettico tra le parti sociali che, aldilà delle proposte, non riescono a dare fondamenta concrete alle loro teorie.

Vediamo quale ipotesi utili possono essere prese in considerazione per attuare una riforma pensioni più equa. Una misura che potrebbe intervenire sulla riforma delle pensioni potrebbe essere quella di evitare di dare grossi incentivi e aiuti alle aziende in ristrutturazione, che mandano in pensione anticipata i lavoratori più anziani o ritenuti inadatti. Negli ultimi anni, l'aumento di questa prassi ha gravato eccessivamente sulle casse della previdenza nazionale. Calcolando la retribuzione del neopensionato con il sistema contributivo, e non più con quello retributivo, si graverebbe meno sulle casse dell' Inps, e nello stesso tempo si creerebbe del turnover in uscita dal mondo del lavoro utile a far entrare lavoratori più giovani.

Prendiamo come esempio la Germania. I tedeschi fra qualche troveranno ad affrontare il problema inverso al nostro. In Italia, secondo i dati dell' Inps, ci saranno pensioni con rendite troppo alte rispetto a quello che il lavoratore ha versato, mentre in Germania, a causa dei popolari mini-job e di altre scelte passate ci saranno tanti pensionati che avranno pensioni molto basse.

Per cercare di arginare il problema la Merkel ha attuato una riforma sulle pensioni radicale, abbassando l'età sufficiente per andare in pensione da 65 a 63 anni. I tedeschi hanno potuto attuare questa modifica sia perché hanno una disoccupazione molto bassa, intorno al 5 %,contro il 12 % italiano, sia perché possono contare su un sistema pensionistico che grava meno sulle cassa pubbliche rispetto a quello italiano.

In Italia non si riesce a trovare il bandolo della matassa. Se si pensa alle ultime proposte, come quella di portare il Tfr dei lavoratori in busta paga sia per i pubblici che per i privati, si capisce come le istituzioni siano in un vicolo cieco. Il Tfr in busta paga potrebbe essere una misura deleteria per i lavoratori che ne usufruirebbero, in quanto, avrebbero la possibilità di possedere una somma di denaro pronta per essere spesa andando così a annullare il volare mutualistico del trattamento di fine rapporto. La misura potrebbe essere una arma a doppio taglio per una classe che è in sofferenza. Inoltre, ci sarebbe il problema di tutti quei lavoratori del settore privato che hanno versato il proprio Tfr nei fondi pensione.

Se la proposta di portare il Tfr in busta paga si dovesse concretizzare sarebbe molto penalizzante per loro, in quanto, non potrebbero usufruire del Tfr nella loro busta paga perché resterebbe immobilizzato nel fondi stessi.