La casistica sui licenziamenti è piuttosto ricca, proprio perché varie sono le tipologie di licenziamento previste dal nostro ordinamento. Si va da quello per licenziamento per giusta causa (che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro). Deve aggiungersi inoltre il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e oggettivo invece legato ai motivi economici

La Cassazione ha fatto in questo mese delle precisazioni sulle ipotesi in cui in virtù di un licenziamento illegittimo è stata disposta la reintegrazione sul posto di lavoro del lavoratore anche nell’ottica di tutelare il diritto alla conservazione del posto.

La Corte con sentenza n.9217 del 6 maggio ha affrontato una questione del recesso datoriale a seguito dell’abuso che il dipendente fa dei permessi della L.n .104. Benché tale questione costituisca una delle principali cause di contestazione tra datori di lavoro e dipendenti, unico è il principio di diritto più volte espresso dalla Cassazione. Il lavoratore che ottiene i giorni di permesso retribuiti (ex Ln.104/92) per assistere il parente disabile non può effettuare nella stessa giornata, anche solo parzialmente, altre attività. Proprio perché commette una frode o un abuso di diritto nei confronti del datore di lavoro e dell’Inps (si configura infatti un’indebita percezione dell’indennità).

Pertanto può essere licenziato il lavoratore bugiardo che presta solo parziale assistenza al famigliare. Viceversa la Corte di Cassazione, con la sentenza n.2648/16 ha stabilito, andando incontro al lavoratore questa volta, che il licenziamento è da considerarsi illegittimo e quindi nullo se la contestazione disciplinare non è specifica.

Gli Ermellini, in accordo al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità hanno indicato le condizioni in cui si ritiene legittima la contestazione disciplinare, disponendo che essa non deve essere generica, dovendo rivestire il carattere della specificità, non essendo necessari schemi prestabiliti e rigidi.

Inoltre la stessa deve descrivere nella sua materialità il fatto o i fatti addebitati e le relative circostanze di tempo, luogo e il tipo astratto di comportamento che il dipendente ha posto in essere. Indispensabile è quindi la descrizione dei particolari concreti e specifici della condotta. Inoltre in base al principio di correttezza del contraddittorio, la contestazione non dev'essere tardiva, ma immediata in modo tale che il lavoratorepossa essere in grado ricostruire il fatto, per difendersi al meglio.

Insubordinazione

La Cassazione con sentenza n.8236/16 ha invece ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente che aveva destinato il tempo retribuito dal datore di lavoro e i beni aziendali a scopi personali.

Tale condotta a detta del datore di lavoro rappresentava una sorta di appropriazione indebita. A pensarla diversamente sono stati però i giudici di legittimità che hanno considerato illegittimo il licenziamento del lavoratore, non considerando come insubordinazione la sua condotta di aver eseguito per proprio conto delle attività durante l'orario di lavoro senza autorizzazione. A detta della Corte l’insubordinazione infatti è circoscritta ai casi di rifiuto di ottemperare a una direttiva. Diversa è invece l’ipotesi affrontata dagli Ermellini nella sentenza n. 9635 dell’11 maggio in cui il lavoratore aveva criticato i superiori utilizzando delle espressioni ingiuriose e diffamatorie, che non sierano tradotte in un rifiuto di adempiere all’ordine impartito, recando però un pregiudizio all’organizzazione aziendale.

Gli Ermellini, dopo che i colleghi di merito avevano accolto il ricorso del lavoratore ha fatto delle puntualizzazioni sulla nozione di insubordinazione che non è circoscritta solo al rifiuto di adempiere alle disposizioni dei superiori, ma abbraccia qualsiasi altra condotta (contraria alle norme della comune etica che pregiudica l’esecuzione e fa venire meno il rapporto fiduciario tra datore e lavorator)e.