Ormai è passato tanto tempo dalla sentenza della Corte Costituzionale che intimò al Governo di provvedere allo sblocco dei contratti nella Pubblica Amministrazione. Da sette anni ormai, i lavoratori statali non si vedono adeguare gli stipendi al tasso di inflazione per via del blocco della perequazione voluto dal Governo Monti. In un intervento sul quotidiano romano “Il Messaggero”, il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia ha confermato che l’Aran, l’Agenzia per la contrattazione, ha recepito le linee del Governo e aprirà la trattativa con i sindacati.

Ciò significa che ormai ci siamo, che finalmente la sentenza della Consulta vedrà la sua applicazione, ma come?

Aumenti si ma solo agli stipendi più bassi

La Legge di stabilità, per la questione contratti dei pubblici dipendenti, ha portato in dotazione 300 milioni di euro. A tanto ammonta lo stanziamento del Governo per gli aumenti di stipendio dopo sette anni di blocco. Per i sindacati sono cifre irrisorie che se fossero riversate a pioggia, ad oltre 3 milioni di dipendenti, porterebbero aumenti di stipendio impercettibili per i lavoratori. Se a questo aggiungiamo che il vuoto contrattuale creato dal mancato rinnovo non viene sanato nemmeno dall’istituto dell’indennità di vacanza, cioè di un rimborso pari al 30% dell’inflazione che di norma spetta nei periodi in cui il contratto non è rinnovato, la partenza della trattativa non può che essere in salita.

C’è inoltre la questione della data di partenza di applicazione della sentenza che secondo i sindacati dovrebbe essere da maggio 2015 (cioè a sentenza depositata) mentre il Governo prevede operazioni di rinnovo solo a partire da gennaio. Immaginiamo che anche la Madia sarà cosciente del fatto che le cifre stanziate siano poche per far fronte alle istanze provenienti dai rappresentanti dei lavoratori, ecco perché l’indirizzo che il Ministro ha dato all’Aran è quello di prevedere aumenti immediati solo per fasce di stipendio più basse, rimandando al futuro lo sblocco per gli altri.

I limiti, le soglie e le fasce su cui si applicheranno gli aumenti non sono ancora chiari ma la situazione torna a presentare numerosi dubbi di nuova incostituzionalità.

Pagelle e salario accessorio

Come se non bastasse il problema contratto, la Pubblica Amministrazione ha subito anche drastici cambiamenti previsti dalla ormai approvata riforma.

Se la riduzione dei Comparti è un capitolo chiuso, il sistema della meritocrazia, delle pagelle ad Enti e dipendenti rischia di provocare un ennesimo schiaffo ai lavoratori. Infatti, se da un lato la Madia e tutto il Governo hanno confermato come lo stipendio sia salvaguardato dal trasloco da un comparto all’altro, i dubbi sugli emolumenti variabili delle buste paga dei lavoratori sono tanti. In primo luogo, il cambio di comparto potrebbe causare la perdita per qualcuno, di parte del salario accessorio, quello che in genere è una fetta sostanziale dello stipendio. Infatti, cambiando mansioni non è detto che rimborsi, indennità e emolumenti vari collegati al lavoro svolto prima della riforma, restino intatti.

Inoltre, il nuovo metodo di valutazione dell’operato dell’Ente sarà esteso anche ai dipendenti. I premi per i risultati raggiunti, quelli di produttività, non saranno più divisi a pioggia tra i lavoratori, ma saranno spartiti in base al merito di ciascun dipendente. Anche questa voce, quella relativa ai premi di produttività lavorativa, è una di quelle più importanti nelle buste paga dei lavoratori. Quando saranno resi pubblici i criteri di valutazione e la relativa commissione giudicante, tutto sarà più chiaro. Ad oggi possiamo ipotizzare che ci sarà il 25% dei dipendenti (quelli più bravi) che si divideranno la metà dei premi. I dipendenti valutati negativamente, un altro 25%, non riceveranno l’indennità ed al restante 50% sarà divisa la restante fetta di premi restati non assegnati. In linea teorica, ci potrebbero essere lavoratori che si troveranno a percepire anche il 40% in meno di stipendio.