Abbiamo già illustrato in un precedente articolo che la casistica giurisprudenziale sulla responsabilità professionale degli avvocati è molto articolata, poiché riguarda i vari profili dell’attività connesse alle varie fasi del processo che i legali si impegnano a svolgere. Ultimamente sul tema la Cassazione con la sentenza n.12280 del 16 giugno, ha statuito su una vicenda abbastanza singolare, in cui ha in definitiva condannato l’avvocato per aver fatto per così dire soffrire eccessivamente il cliente.

Il caso da cui trae origine la statuizione è relativo ad un un uomo che era stato condannato, per un errore commesso da suo avvocato, a ben 14 mesi in più di carcere rispetto alla pena ottenuta da altri coimputati per lo stesso reato che si erano visti abbattere il periodo detentivo per via del patteggiamento.

Tale imputato decide quindi di citare in giudizio il suo legale, per responsabilità professionale dovuta a colpa grave, proprio perché lo stesso non aveva potuto usufruire del patteggiamento per via della negligenza professionale del legale penalista, che ha ritardato nell’impugnare la condanna.

E’ il legale a risarcire il cliente per il danno non patrimoniale

Sia il Tribunale sia la Corte d’appello hanno quantificato il danno per la privazione della libertà personale e della perdita di chance in oltre 100 mila euro. La cifra era stata calcolata in base al criterio dell’ingiusta detenzione, moltiplicando i 425 di reclusione in più per 235,83 euro al giorno, così come previsto dalla norma. Sebbene il Tribunale ha ritenuto non operante la polizza perché copriva esclusivamente i danni patrimoniali, per i giudici della Corte d’Appello l’assicurazione era tenuta a coprire il legale, sebbene il danno era da considerarsi di natura non patrimoniale.

I giudici di merito hanno ritenuto che lo stesso diventava patrimoniale in sede di liquidazione, rientrando quindi nella polizza assicurativa.

A pensarla diversamente è invece stata la Corte di cassazione che ha statuito che l’avvocato che ha commesso l’errore non può rivalersi sull’assicurazione, propio perché il pregiudizio provocato è di natura non patrimoniale. Il danno non patrimoniale infatti non può cambiare “veste” nel momento in cui viene liquidato, benché la liquidazione traduce comunque il pregiudizio sofferto in un’entità economicamente valutabile. In definitiva gli Ermellini hanno accolto il ricorso dell’assicurazione contro la domanda di manleva dell’avvocato.

Quest’ultimo inoltre non aveva assolto l’onere della prova su di lui incombente ovvero non aveva dimostrato che l’appello proposto nei termini avrebbe evitato al suo cliente ulteriori mesi di reclusione

Punti nodali della sentenza della Cassazione

I giudici di piazza Cavour hanno quindi passato in rassegna la responsabilità del legale che ha provveduto in ritardo ad impugnare una sentenza penale di condanna. La colpa del professionista nel caso di specie stava infatti proprio nel non aver compiuto un'attività processuale nell’interesse del suo cliente.

La Suprema corte ha poi bacchettato anche i colleghi di merito sotto il profilo della liquidazione del danno. Infatti secondo gli Ermellini erroneamente è stato scelto il criterio dell’ingiusta detenzione.

La Suprema Corte ha così rinviato nuovamente la decisione alla Corte d’Appello, invitandola a liquidare il danno, comunque patito, seguendo un criterio equitativo. Ne consegue infine che i giudici dell’Appello dovranno procedere ad un congruo taglio della cifra stabilita nella sentenza cassata, tenendo conto dei principi espressi e degli elementi della vicenda concreta. E dunque della durata effettiva della detenzione, ai reati per i quali è intervenuta la condanna, e della situazione personale dell’imputato. Per altre info di diritto potete premere il tasto segui accanto al nome.