La questione contratto dei lavoratori statali non è ancora risolta, ma alcune indiscrezioni sembrano spingere verso una visione ottimistica della vicenda. Presto potrebbe essere messa la parola fine allo sblocco sancito dalla Consulta lo scorso anno, anche se non nelle modalità auspicate dai lavoratori e dai loro rappresentanti sindacali. Sempre in tema di lavoro nelle PA e di Giudici e Tribunali, si attendevano notizie e conferme di un’altra particolare situazione riguardante i lavoratori pubblici, quella dei licenziamenti e dell’applicazione anche per loro delle nuove norme sul lavoro prodotte sempre dalla Fornero.

Ecco le novità di questa settimana e cosa cambia o cambierà per i lavoratori.

Sblocco sì ma solo a fasce di reddito prestabilite

Lo sblocco del contratto per gli statali, fermi da sette anni e finanziato con un piccolo stanziamento da 300 milioni in Legge di Stabilità dal Governo, nonostante i primi approcci tra sindacati ed Aran (agenzia incaricata dal Ministro Madia di trattare il rinnovo), risulta ancora fermo. Le posizioni sono sempre distanti ed impantanate su 3 fattori molto importanti. Il primo è quello delle cifre, che per i sindacati non possono essere meno di 10 euro al mese di aumenti, come vorrebbe il Governo, dopo 7 anni di blocco.

Poi c’è la storia della vacanza contrattuale, il risarcimento dovuto a tutti i lavoratori nel periodo intercorrente tra un contratto e l’altro, risarcimento che non è stato ancora dato ai lavoratori e che sembra sarà rimandato ancora per anni.

Infine, il terzo nodo da sciogliere è la data di partenza dello sblocco che per i sindacati dovrebbe partire dal giorno di deposito della Sentenza della Corte Costituzionale, mentre per il Governo sarebbe da avviare dal 1° gennaio 2016. Le ultime voci che provengono dal Governo dicono che si sta lavorando per sbloccare i contratti solo a fasce deboli di reddito, con un tetto che dovrebbe essere fissato a 26mila euro.

Significherebbe che l’adeguamento alla perequazione fermo dal 2009 sarebbe consentito solo a lavoratori con stipendi più bassi, in modo tale da ridurre ad 1/4 la platea degli oltre 3 milioni di dipendenti di cui consta l’apparato organico delle PA. Questo vorrebbe dire che i 300 milioni stanziati dal Governo verrebbero divisi tra meno persone con fette, evidentemente più grosse, sembra di 30 euro al mese.

La Cassazione conferma l’Articolo 18 per gli statali

Un ricorso finito in Cassazione ha confermato come per i lavoratori del Pubblico Impiego non si applicano le norme della Fornero e del Governo Renzi in tema di licenziamenti illegittimi. Infatti, la sentenza della Suprema Corte depositata il 9 giugno ha sancito che ai lavoratori del Pubblico Impiego si applicano ancora le tutele previste dallo Statuto dei Lavoratori e quindi dal famoso Articolo 18. L’abrogazione delle norme dello Statuto, iniziate con la Fornero e completate con il Jobs Act di Matteo Renzi, che non prevedevano più il reintegro al posto di lavoro per il lavoratore licenziato in maniera illegittima, ma solo un risarcimento, si applicano ai lavoratori privati ma non a quelli pubblici.

In parole povere il potere di un datore di lavoro privato di licenziare non è lo stesso di un Ente Pubblico e questo a conferma di quanto da tempo sostiene il Ministro Madia in tema di licenziamenti. La notizia sicuramente desterà polemiche per una evidente disuguaglianza tra lavoratori e molti esperti e tecnici chiedono al Governo un immediato intervento che faccia chiarezza senza delegare la responsabilità ai Giudici.