Tutto sembra ormai pronto o quasi sul tema della riforma previdenziale o meglio sui correttivi al sistema pensionistico su cui Governo e sindacati sembrano lavorare ininterrottamente. Dopo i tanti incontri istituzionali con argomento le Pensioni, al ritorno dalle ferie, si dovrà mettere nero su bianco il pacchetto di interventi che poi rientreranno nella Legge di Stabilità. Diverse le misure messe in cantiere che sembrano ad un passo dall’entrare nel sistema previdenziale nostrano, ma forse non bastano. Restano in sospeso tante precarietà del sistema e forse le misure trovate ne causano altre.

La Fornero andava cancellata

Sicuramente è un luogo comune, ma che non si discosta tanto dall’essere una verità incontestabile. Non tutti, ma molti dei problemi del sistema pensionistico italiano provengono dal Governo Monti e da ciò che ha partorito la Legge Fornero in termini di sacrificio chiesto ai pensionati o futuri tali. L’inasprimento dei requisiti per andare in pensione voluto dalla Fornero in un periodo dove lo spread e la crisi minacciavano i conti pubblici fino al rischio default, resta attivo ancora oggi e cosa certa ormai, resterà in vigore anche nel prossimo futuro. Tutti coloro che chiedevano e chiedono la revisione della Legge Fornero e la sua abrogazione saranno delusi, perché gli interventi che il Governo ha in mente di inserire nella manovra d’autunno sono solo scorciatoie e sconti in termini di requisiti da concedere a qualcuno e quasi sempre a spese del pensionato.

L’APE per esempio offre tre anni di pensione in anticipo ma in prestito. L’età anagrafica per andare in pensione resta quella Fornero, a 66 anni e 7 mesi e proprio a partire da quell’età, i pensionati fruitori dell’APE, dovranno iniziare a restituire alle banche il prestito ottenuto. Per i precoci, lavoratori che hanno iniziato giovani a lavorare, se prima della Fornero potevano lasciare il lavoro con 40 anni di versamenti, oggi lo fanno a 42 e 10 mesi.

Quota 41 resterà un sogno e per tamponare la falla, ma solo per qualcuno, si pensa di concedere un bonus in termini di valore dei contributi versati prima dei 18 anni. Per chi ha iniziato a lavorare presto, ma solo dopo essere diventato maggiorenne, o si raggiungono i quasi 43 anni di contributi o si resta al lavoro, proprio come stabilito dal Governo Monti.

E tutte le altre problematiche?

L’intervento sulle ricongiunzioni a pagamento - che diventeranno gratis-consentirà ai lavoratori che non avevano soldi per raggruppare i contributi di diverse casse in quella finale, di andare in pensione. Sicuramente un intervento serio e ottimo per molti, ma per chi ha versato, a partire dal Governo Berlusconi che ha reso onerose le ricongiunzioni, il corrispettivo necessario per le ricongiunzioni, i soldi spesi per pagare “due” volte i contributi non saranno restituiti. Il nodo pensioni minime, di cui si è parlato durante gli incontri, nonostante i 2,5 miliardi che il Governo sembra essere in grado di inserire per il capitolo pensioni, così come richiesto dai sindacati, sarà posticipato all’anno venturo.

Difficile fin da subito ampliare la platea dei beneficiari della quattordicesima fino alle pensioni da 1.250 euro al mese. Altrettanto difficile che venga aumentata la stessa quattordicesima agli attuali fruitori con un bonus da 80 euro. Il numero eccessivo di pensioni nette sotto i mille euro rende interventi a loro sostegno ardui per l’ingente mole di danaro pubblico che servirebbe. Altro problema che forse si sottovaluta è la parità di specie anche sotto il profilo pensionistico. La Fornero infatti ha stabilito come per la pensione anticipata, alle donne occorra un anno in meno di contributi rispetto agli uomini. Questo però si scontra con le direttive della Commissione Europea che prevedono la parità sia salariale che di pensione tra donne e uomini. Per le donne questo significherà che pagheranno un inasprimento doppio dei requisiti voluti dalla Fornero, perdendo di colpo due anni.