Ormai sono oltre 7 anni che il Contratto del Pubblico Impiego è rimasto fermo al palo. È dal Governo Berlusconi del 2008 che gli stipendi dei lavoratori statali è rimasto fermo. La storia è nota ed ha avuto un peggioramento con il Governo Monti e con il Ministro Fornero che addirittura sancì il blocco degli scatti relativi alla perequazione, quindi all’inflazione. Successivamente c’è stata al riguardo la famosa sentenza della Consulta che ha sancito l’incostituzionalità del blocco voluto dalla Fornero. Il Governo quindi è obbligato a provvedere al rinnovo del contratto, anche se i giudici della Corte Costituzionale hanno salvato le casse pubbliche non operando in retroazione, quindi senza obbligare il Governo a risarcire il maltolto ai dipendenti.

Cosa hanno perso i lavoratori

La trattativa tra sindacati e Governo, o meglio l’ARAN, l’agenzia cui la Madia ha dato mandato di trattare con le parti sociali, a settembre entrerà nel vivo. Secondo i sindacati, i lavoratori hanno perso molto durante questi anni, troppo per accettare aumenti di pochi euro come pensa di fare il Governo. Un eloquente esempio riportato da uno studio del quotidiano il Messaggero spiega come un dipendente privato, in questi anni di stop agli aumenti per gli statali, ha visto crescere il suo potere di acquisto, che è passato da 100 a quasi 110, cioè 10 euro ogni 100 di stipendio. Per i lavoratori pubblici tutto fermo a 100 e calcoli alla mano quindi, 2.500 euro di soldi in meno.

Nella scorsa Legge di Stabilità il Governo stanziò 300 milioni di euro per porre la prima pietra tombale alla questione. Calcolando il numero dei lavoratori interessati, oltre 3 milioni, è evidente che i conti non tornino.

Su che aumenti si lavora?

Crisi economica, scarsi soldi a disposizione dell’Esecutivo e vincoli con Bruxelles, qualsiasi sia il motivo che ha spinto il Governo a stanziare solo 300 milioni per gli stipendi dei lavoratori pubblici, ai sindacati è sembrata una provocazione.

Si può facilmente ipotizzare uno scontro frontale sulla vicenda, con il Governo che lasciando tutto come stabilito con la vecchia manovra di autunno, erogherebbe 10 euro al mese in più per dipendente. A poco servirebbe un rinnovo condizionato da aumenti a campione in base al merito o alla produttività dei lavoratori. Stesso discorso per le prerogative dei lavoratori con buste paga più basse.

Le cifre stanziate dal Governo sono talmente poche che al massimo si può ipotizzare aumenti di una ventina di euro a testa e non per tutti. La CGIL, sindacato tra i più duri nei confronti del Governo, chiede aumenti di 220 euro al mese a testa. Naturalmente la cifra è al lordo e di fatto prevedrebbe 132 euro al mese in più. Anche la CISL ha la sua particolare panacea, da 150 euro di surplus per dipendente. Evidente la distanza sulle cifre che non promette nulla di buono per un facile e rapido esito della trattativa. Nelle ultime settimane però il Governo sembra aver recepito il messaggio dei lavoratori o forse si è reso conto che le cifre di cui parla sono davvero poche. Ecco perché da Palazzo Chigi trapelano indiscrezioni che vogliono un bonus da 80 euro a lavoratore, una specie di incentivo come quello concesso ai lavoratori dipendenti con il Bonus Renzi.

Una operazione del genere costerebbe però 3 miliardi, ecco perché sembra che le parti si stiano avvicinando. Lo stesso Presidente del Consiglio è molto impegnato a trovare una soluzione ed ha già rimandato il discorso al DEF, il Documento di Economia e Finanze il cui aggiornamento è previsto per il 20 settembre. In quella occasione si saprà anche se la UE abbia concesso tregua all’Italia sulla flessibilità di bilancio.