Ape, precoci, usuranti, ricongiunzioni e Pensioni minime sono orma argomenti diventati di dominio pubblico. In vista della Legge di Stabilità da presentare ad ottobre, il Governo lavora di concerto con le parti sociali per mettere a punto una specie di riforma previdenziale e quelli sono i nodi più importanti da sciogliere. La manovra finanziaria sarà probabilmente da 25 miliardi di euro e tra i 2 ed i 3 di questi miliardi, saranno destinati ai pensionati. Queste cifre non basteranno per tutte le necessità previdenziali, ecco perché si cerca di snellire i provvedimenti per renderli meno gravosi per le casse statali.

Ad oggi, il susseguirsi di notizie, smentite e proposte generano confusione. Ecco perché bisogna chiarire come si potrà andare in pensione dal 2017.

L’APE riguarda la pensione di vecchiaia

Un primo dubbio che può assalire quando si parla di anticipo pensionistico o APE come è stato battezzato dal Governo è la platea di soggetti interessati. L’APE non riguarda i precoci, gli usuranti o chi ha contributi ed anzianità lavorativa vicina ai 40 anni. Infatti per questi soggetti le prerogative sono diverse dalle soluzioni che offre l’APE. Questa misura infatti prevede l’uscita a 63 anni (sempre che venga confermato il taglio dei 7 mesi di aspettativa di vita) con minimo 20 anni di contributi, cioè riguarda coloro che oggi, secondo le norme vigenti, dovrebbero aspettare 66 anni e 7 mesi di età.

Si tratta di un anticipo offerto sui possibili percettori della pensione di vecchiaia. Difficile immaginare che pur di lasciare il lavoro, un soggetto con 40 anni di contributi accetti il prestito pensionistico dell’APE, a 63 anni rinunciando alla pensione di anzianità, come si chiamava una volta che il soggetto in questione raggiungerebbe lavorando altri 2 anni e 10 mesi.

Ecco perché per lavoratori con una lunga storia contributiva le soluzioni che si valutano sono altre, anche se difficilmente realizzabili per gli alti costi. Si passa da quota 41, cioè l’uscita senza penalità e senza limiti anagrafici al raggiungimento dei 41 anni di versamenti, al bonus contributivo, un valore aggiunto tra il 40 ed il 50% ai versamenti per lavori sotto i 18 anni.

Ad oggi, l’APE così come sembra venga partorita, sarà un aiuto a coloro che magari si trovano oggi, a 63 anni, senza lavoro e senza sostentamento e che pur di trovare reddito accetterebbero di buon grado un finanziamento bancario garantito dalla propria futura pensione.

Una APE a misura d’uomo

Se il ragionamento sull’APE si sposta dal punto di vista tecnico, a quello finanziario, cioè dei conti pubblici, la snellezza del provvedimento perde efficacia. Infatti, anche se teoricamente l’APE è a completo carico dei pensionati, a cui dopo aver usufruito dell’anticipo, toccherà l’onere di restituire le rate di prestito, con un deciso taglio alla pensione vera e propria, il Governo dovrà comunque rimetterci qualcosa.

Infatti, per i disoccupati di lunga durata, i senza reddito, quelli con redditi o pensioni basse e con famiglie numerose, il Governo sta programmando di accollarsi l’onere della restituzione dell’anticipo. Il meccanismo sarà probabilmente quello delle detrazioni fiscali, grazie alle quali, il lavoratore che per esempio, percepirà 600 euro di pensione una volta finita l’APE, non dovrà subire il taglio di assegno di importo pari alla rata del prestito, ma continuerà a percepire lo stesso assegno. Nelle ultime ore però, per migliorare l’appeal dell’APE, di cui qualcuno già paventa il rischio flop come per l’anticipo TFR o il part-time pensione, si valuta l’idea di renderlo flessibile anche come importi.

Infatti il lavoratore che si trova nella necessità di accettare l’APE, potrebbe scegliere di farsene erogare una solo una parte, tra il 33 ed il 50%. In questo modo, la rata da restituire per 20 anni sarebbe di meno e graverebbe meno sulla futura e vera pensione. Il lavoratore lascerebbe il lavoro in anticipo, percepirebbe quanto gli basta per tirare avanti e si indebiterebbe di meno.