Laurea sì, laurea no: nell’eterno dilemma che attanaglia qualsiasi studente delle superiori, si cela la paura di rimanere senza lavoro. Avere un’occupazione stabile e soprattutto ben retribuita è la leva che ci spinge ad affrontare anni e anni di ansie e di fatiche universitarie. La scelta però è spesso affidata al caso e ponderata per argomentazioni superficiali che in genere non tengono conto della difficile situazione del mercato del lavoro italiano con alcune professioni che rimangono “scoperte” mentre altre risultano troppo inflazionate.

Non è certo un mistero che, da un punto di vista meramente lavorativo, esistano oggi lauree che poco aggiungono all’appetibilità del candidato laureato rispetto al diplomato, quel poco che talvolta si perde quando i recruiter devono valutare l’inserimento di una risorsa di 20 anni senza laurea rispetto a un laureato magistrale con 110 e lode che di anni ne ha 28.

Non tutte le lauree sono uguali e al giorno d’oggi chi si trova combattuto sul corso di laurea da scegliere, magari spaziando su tematiche molto differenti, rischia di commettere un errore madornale da un punto di vista lavorativo.

Informatica, Ingegneria e Medicina al top

C’è un dato molto eloquente da tenere in considerazione: gli studenti iscritti ai corsi di ingegneria informatica e scienze informatiche sono aumentati del 30% negli ultimi dieci anni. Malgrado ciò però i professionisti del settore ICT sono sempre meno di quanti ne richiede il mercato: circa 150mila in meno, secondo Paola Velardi, presidente del corso di laurea in informatica della Sapienza. “Se si riuscisse a portare il mercato digitale al 6,6% del Pil nel 2020 si potrebbero creare 700mila nuovi posti di lavoro”, motivo per cui anche chi non viene da questi corsi ha tutto l’incentivo ad acquisire competenze informatiche e digitali.

I dottori informatici sono i laureati che meno di tutti si recano all’estero per lavorare e a cinque anni dalla laurea registrano un tasso di occupazione del 91% e nel proprio ambito di studi. Gli ingegneri, in senso lato, sono quei laureati che meno di tutti hanno difficoltà a trovare lavoro: ben 7 su 10 già ad un anno dalla laurea, statistica che sale a 9 su 10 dopo cinque anni (e con stipendi mediamente più alti).

A seguire, la laurea con maggiori prospettive occupazionali è quella in Medicina che, seppur in lieve calo rispetto al passato, rimane comunque in cima alla classifica (87%).

Facoltà umanistiche ‘fabbriche’ di disoccupati

In generale, sono le lauree scientifiche ad avere la meglio, con un netto divario su quelle umanistiche. Non se la passano certo male infatti i laureati in Scienze Biologiche che, a cinque anni dalla magistrale, risultano occupati per il 90%.

Meno bene i colleghi di Geologia per cui le prospettive occupazionali risultano altalenanti e spesso subordinate a un lavoro all’estero; un risultato interessante è quello relativo alla laurea in Chimica, per cui l’occupazione registrata dopo cinque anni è pari all’86%. Le facoltà che sfornano più disoccupati, secondo l’ultimo rapporto Istat, sono proprio quelle umanistiche: Giurisprudenza, Psicologia e Lettere hanno registrato infatti i risultati peggiori (rispettivamente con livelli occupazionali a 68%, 55% e 61%). Se la cavano meglio i colleghi di Scienze Sociali, Lingue, Comunicazione e Scienze Politiche anche se comunque il divario rispetto a ingegneri, medici e informatici rimangono decisamente alti.