Pensione anticipata e uscita con la quota 41 dei contribuenti precoci sono le due questioni calde in tema di riforma delle Pensioni del Governo Gentiloni. Proprio nella giornata di oggi è previsto un incontro decisivo tra il Governo ed i sindacati per fare il punto della situazione sui decreti attuativi delle pensioni anticipate Ape, con uscita a partire dai 63 anni, con e senza le agevolazioni e sui lavoratori precoci che potranno andare in pensione dal 1° maggio 2017 senza tener conto del requisito anagrafico, purché rientrino in determinate situazioni ed abbiano versato 41 anni di contributi.
Secondo la legge 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017) i decreti attuativi dovrebbero essere adottati entro domani, 2 marzo 2017. Tuttavia, è probabile che la data possa essere posticipata di qualche giorno.
Pensioni anticipate 2017: non solo Ape e precoci quota 41
In attesa, dunque, dei provvedimenti che daranno il via alla pensione anticipata per i precoci che raggiungano la quota 41 e dell'anticipo pensionistico Ape aziendale, volontario e social, il Governo Gentiloni dovrà anche affrontare la cosiddetta "fase due" della della riforma delle pensioni, ovvero quella relativa alla possibilità di uscita delle giovani generazioni, costituite da coloro che hanno cominciato a versare i contributi dal 1° gennaio 1996 e che, pertanto, rientrano nel meccanismo previdenziale puramente contributivo.
Proprio nei giorni scorsi uno studio della Progetica ha messo in luce come il requisito del valore della pensione superiore a 2,8 volte l'assegno sociale per uscire a 63 anni e 7 mesi con venti anni di contributi versati, richieda un reddito da lavoro alto per usufruirne. Il che significa, secondo la stima della Progetica, che potranno beneficiare della pensione anticipata contributiva solo i lavoratori che hanno uno stipendio mensile attorno ai 2.500 euro.
Pensione vecchiaia e anticipata 2017: simulazioni giovani generazioni
Pertanto, la possibilità di andare in pensione anticipata di 3 anni e 7 mesi rispetto alla pensione di vecchiaia riguarda i contribuenti che hanno una carriera lavorativa che può definirsi brillante e continua, mentre la stessa possibilità non può essere garantita, ad oggi, ai lavoratori che percepiscono redditi limitati o che hanno una vita lavorativa discontinua e precaria.
Il Governo Gentiloni, dunque, nella seconda fase della riforma delle pensioni dovrebbe tener conto di entrambe le situazioni. Per chi guadagna, attualmente, tra 1,5 e 2,8 volte l'assegno sociale l'uscita da lavoro potrebbe essere ritardata mediamente di 4 anni e 5 mesi, al compimento dei 70 anni. Rischiano di lavorare fino ai 75 anni, invece, i contribuenti che guadagnano meno di 1,5 volte l'assegno sociale (sotto i 1.255 euro): in media l'uscita sarà ritardata di poco meno di 8 anni in più per andare in pensione.