Nuovi appuntamenti fissati per il 6 ed il 13 aprile per quanto riguarda la riforma previdenziale, ma si parlerà di fase 2 e non di APE e Quota 41. Questo perché, dopo l’incontro di oggi, 23 marzo, il Governo, anche se non tramite i tanto attesi decreti attuativi, ha chiarito come non si potranno correggere le misure previste dalla Legge di Bilancio. I tempi ristretti e la necessità di far partire le misure il 1° maggio, non permettono interventi tecnici rispetto a quanto già delineato.

Sindacati delusi

I sindacati, al termine dell’incontro, hanno dichiarato di apprezzare il modo con cui la discussione va avanti, ma senza decreti attuativi dare un giudizio sembra prematuro.

Dal canto loro, il Ministro Poletti ed il Consulente di Palazzo Chigi Leonardi hanno pubblicamente stoppato tutte le prerogative e le proposte di correttivi dei sindacati. Non le hanno bocciate, ma le hanno solo posticipate ai futuri incontri, quelli successivi al 1° maggio, con l’intento di cercare soluzioni nella prossima Manovra di Bilancio. Una notizia che era nell’aria, nonostante qualcuno sperava in una specie di miracolo in zona cesarini che sembra non ci sarà. I tempi sono troppo ristretti, con i decreti che vanno emanati per continuare il loro iter e per completarlo entro il 1° maggio.

Soggetti esclusi dalla riforma

Il pacchetto previdenziale resta lo stesso e quindi APE e quota 41 sono destinate a quei soggetti di cui si parlava in Legge di Bilancio.

Paletti, vincoli e quindi esclusioni dal perimetro di intervento restano tutte. Per i lavori gravosi, restano necessari 41 anni di contributi di cui uno prima dei 19 anni, per quota 41 restano 36 anni di versamenti, quelli utili all’APE sociale. Resta in campo anche il vincolo dei 6 anni di continuità lavorativa, senza franchigie o periodi di abbuono come si sperava fossero considerati quelli di disoccupazione.

In pratica, chi non dimostrerà di avere avuto un contratto di lavoro stabile negli ultimi 6 anni prima di presentare domanda resta fuori da APE e quota 41. In pratica, nonostante gli edili siano tra le attività considerate gravose, la stragrande maggioranza dei lavoratori del settore è tagliata fuori dall’anticipo. Per i disoccupati che rientrano nell’APE agevolata restano i 30 anni di contributi necessari, purché da 3 mesi abbiano terminato di percepire la Naspi e sempre che l’ultimo rapporto di lavoro sia terminato con un licenziamento e non con un contratto terminato di quelli a tempo determinato.

Anche se di APE volontaria non si è parlato, appare confermato tutto il blocco normativo, con interessi a tasso variabile, vicini al 5% per anno di anticipo e con il 29% di spese assicurative rispetto al montante del prestito pensionistico erogato. Ennesima doccia fredda per chi si attendeva interventi e misure più profonde di quelle che a tutti gli effetti risultano essere provvedimenti tampone.