Il prossimo incontro tra Governo e sindacati in materia previdenziale è fissato per giovedì 4 maggio. La data è molto importante perché permette di fare alcune considerazioni sulle novità previdenziali che partiranno il 1° maggio. In pratica, sia APE che Quota 41 sono pronte e non si potranno più correggere proprio perché il prossimo incontro sarà relativo alla fase 2 della riforma, quella che interesserà le Pensioni future e probabilmente la prossima Legge di Bilancio di fine 2017. Prima di Pasqua, cioè in settimana, dovrebbero uscire i decreti attuativi , nei quali qualcosa verrà corretto rispetto alle misure inizialmente previste.
I lati oscuri e i dubbi sulle due novità restano tutti, tanto che qualcuno ipotizza una riforma flop, con persone che troveranno poco convenienti le vie per anticipare la pensione.
Non è vantaggioso uscire prima
Una analisi pubblicata sul noto quotidiano “la Repubblica” ieri 9 aprile rende bene l’idea sulle problematiche attuative e future di APE e quota 41. Non sono solo i problemi di tempistica che ad oggi mettono a rischio il reale avvio delle misure. I decreti attuativi che sarebbero dovuti uscire a inizio marzo, ad un mese di distanza non sono ancora stati emanati. Con un iter che prevede il benestare di Consiglio di Stato e Corte dei Conti, essendo arrivati a meno di un mese dal via delle misure, il rischio che queste slittino è alto.
Dal Governo fanno sapere che tutto e pronto e che, probabilmente, in questa settimana tutto sarà pronto ed i decreti saranno presentati al pubblico. Dal punto di vista strutturale, invece, le misure appaiono molto problematiche, con l’APE volontario che costa troppo ai lavoratori e con quota 41 ed APE sociale con requisiti troppo ristretti per essere centrata da molti lavoratori.
Tutti i dubbi e le perplessità
L’APE volontario è il prestito bancario con interessi e spese accessorie che viene erogato come una pensione a chi ha almeno 63 anni di età e 20 di contributi. Il prestito deve essere restituito una volta raggiunta la pensione di vecchiaia (66,7 anni di età e 20 di contributi), con rate mensili costanti sulla pensione per la durata di 20 anni.
In definitiva, un taglio del 30% medio sulle pensioni future, probabilmente troppo in virtù di qualche anno di anticipo di pensione. La versione assistenziale di APE, oppure quota 41, si rivolgono a soggetti disagiati come lavoro (disoccupati o impegnati in attività gravose), come salute (invalidi) o come famiglia (invalidi a carico). Una serie di paletti, però, riducono il campo di applicazione delle misure. Gli invalidi devono essere almeno con il 74% di disabilità accertata. I disoccupati devono aver terminato di percepire gli ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi e soprattutto, devono provenire da licenziamento e non da contratti a termine. Per i lavori gravosi invece, servono 6 anni di continuità lavorativa, cioè senza interruzioni da 72 mesi al lavoro prima di presentare domanda di pensione.
Maglie più larghe nei decreti?
Correttivi e cambiamenti last minute non appaiono possibili, proprio perché i decreti sembrano pronti e di nuovi appuntamenti con le parti sociali, in materia APE e quota 41, non se ne faranno più. Le misure sono quelle spiegate nel paragrafo precedente, con i precoci (disagiati) che centrano l’uscita con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età e con un anno di versamenti prima dei 19 anni di età. Per l’APE sociale invece, come contributi, servono 30 anni se disoccupati e 36 anni se impegnati in lavori gravosi, intesi come area aziendale e non come mansione vera e propria del lavoratore. Nei decreti, l’unico correttivo che sembra, farà capolino, appare essere la franchigia che detonerà i 6 anni di continuità lavorativa.
Ci sarà più tempo per centrare i 6 anni di continuità lavorativa pretesi dalle norme. Il requisito andrà centrato in 7 anni, cioè sarà garantita l’uscita anticipata con APE o quota 41 a coloro che negli ultimi 7 anni di lavoro prima della domanda di accesso alle misure, avranno 6 anni di ingaggio presso un datore di lavoro.