Forse questa volta ci siamo, la riforma della Pubblica Amministrazione della Ministra Madia sembra arrivata alla fine. Venerdì 19 maggio, con molto ritardo è in calendario il Consiglio dei Ministri che dovrebbe licenziare in via definitiva la riforma della Pa. Uno dei problemi maggiori, che probabilmente è una delle cause che ha allungato l’esame del testo del decreto prima dell’ultima approvazione, resta il salario accessorio. Il quotidiano economico finanziario “Il Sole24Ore” nell’edizione on line del 15 maggio mette in luce proprio i problemi che riguardano il salario accessorio e che saranno affrontati nel tavolo tecnico Governo-sindacati.

Ma altri nodi sono ancora da sciogliere, primo tra tutti quello del contratto.

La sperimentazione nelle regioni

Il testo della riforma prevede che un surplus di dotazione verrà concessa agli enti virtuosi tramite decreto del Presidente del consiglio dei Ministri. Un surplus di fondi che finirebbero agli enti migliori come risultati e che quindi, significherebbero maggiori soldi divisi tra i dipendenti dello stesso ente. Si tratta di una misura sperimentale che verrà assegnata solo a regioni e città metropolitane, lasciando di fatto esclusi altri enti. Proprio questi, tra cui i comuni, hanno più volte chiesto all’Esecutivo di rientrare nella sperimentazione. Con tutta probabilità, sarà proprio questa richiesta il primo argomento da affrontare ed il primo nodo da risolvere.

Una richiesta difficile da accettare anche perché, pur nella versione originale, quella limitata a regioni e città metropolitane, i dubbi sull’impatto in termini di soldi pubblici e sulla quantificazione precisa delle somme che finirebbero ai lavoratori, restano molteplici. Ecco perché anche in questa parte della riforma, in sperimentazione triennale fino al 2020 viene inserita la clausola che prevede l’attuazione del decreto, senza maggiori o nuovi oneri per le casse pubbliche.

Il superamento della riforma Brunetta

La riforma ha partorito la riduzione dei comparti da 11 a 4. Questo è un altro problema per la questione del salario accessorio. La riduzione dei comparti però non ha ancora prodotto gli effetti, o meglio, si deve ancora riorganizzare il tutto alla luce della grande novità. In pratica, le risorse stanziate, cioè le dotazioni assegnate a tutte le Pubbliche amministrazioni alla voce salario accessorio, sono ferme a quanto stabilito per il 2016.

Un blocco che i critici credono possa prolungarsi per mesi o addirittura anni. Norme intricate ed una riforma che deve ancora superare e risolvere i problemi della precedente, targata Brunetta, sono ostacoli ardui. Infatti, le rigide griglie su cui si basava la spartizione dei premi come previsto dalla riforma Brunetta, alla luce dei cambiamenti di oggi, rischia di prosciugare i fondi destinati al salario accessorio alla luce della produttività dell’ente e non del singolo dipendente. Inoltre, in molti enti, le voci di salario accessorio rischiano di diventare fisse come le indennità di turno.

Contratto e indennità di vacanza

Resta sempre appesa la questione del rinnovo contrattuale relativo alla sentenza della Corte Costituzionale.

La via tracciata resta quella delle 85 euro a testa, che poi significherebbe nell’immediato, dopo gli stanziamenti del Def, poco più di 30 euro a dipendente. Altri soldi arriverebbero nella prossima Legge di Bilancio di fine 2017, quando probabilmente si arriverà davvero alle 85 euro lorde di cui tanto si parla. Resta comunque un contratto bloccato da otto anni con enormi danni per i dipendenti, che hanno visto il potere di acquisto del loro stipendio, scendere nettamente. Senza considerare che anche il periodo di vuoto contrattuale non ha visto erogare alcuna somma a titolo di vacanza contrattuale. Si tratta dell’aumento pari al 30% del tasso di inflazione annuale che dovrebbe spettare ai dipendenti, nei periodi di assenza di un contratto, cioè tra uno scaduto ed il suo rinnovo, che ripetiamo, oggi latita da ben 8 anni.