Il decreto sull’ape sociale, quella destinata a soggetti in condizione di disagio reddituale, di lavoro o di salute, il 16 giugno è finito in Gazzetta Ufficiale. In pratica, da venerdì scorso l’Ape sociale è diventata misura richiedibile, come conferma l’Inps nella circolare n° 100 uscita anch’essa venerdì 16 giugno. L’Ape sociale resta la misura più favorevole di anticipo pensionistico perché per i richiedenti è a costo zero, essendo la misura a carico completo dello Stato. Categorie di beneficiari ristrette, requisiti particolari e vincoli, la rendono difficile da centrare per molti e la misura presta il fianco alle critiche ed alle polemiche che la hanno accompagnata fin dalla nascita.
Il decreto appena pubblicato e la circolare Inps però, presentano alcune particolarità ed alcune novità positive per i lavoratori, rispetto a come era la misura originariamente.
I 4 profili di beneficiari
Sono 4 le macro categorie a cui si rivolge l’Ape sociale e tutte e 4 sono formate da persone che per un motivo o per l’altro, sono bisognosi di particolare tutela. Si tratta di lavoratori impegnati in attività logoranti, i cosiddetti lavori gravosi. SI tratta di camionisti, edili, maestre di asilo e infermieri delle sale operatorie, tanto per citarne alcuni. Poi ci sono gli invalidi con almeno il 74% di disabilità accertata dalle competenti strutture. Sempre in tema di invalidi, dentro anche coloro che sono alle prese con l’assistenza a familiari in situazioni di disabilità, sempre con almeno il 74%.
I cosiddetti caregivers, che devono aver prestato l’assistenza da almeno 6 mesi a parenti di primo grado, cioè figli, genitori o coniuge. Infine, i disoccupati che da almeno 3 mesi hanno terminato di percepire la Naspi o qualsiasi altro ammortizzatore sociale loro destinato, a copertura della perdita di lavoro.
Risolti alcuni casi spinosi
Il decreto ha fatto luce su alcune particolarità della normativa creata che sembravano di dubbia interpretazione. L’Ape sociale può essere percepita a partire dai 63 anni di età e con 30 anni di contributi per invalidi, caregivers e disoccupati, oppure 36 per i lavori gravosi. I contributi utili al calcolo sono tutti e soprattutto a qualsiasi titolo versati.
In pratica, alla fine si è scelto di far rientrare dentro anche i figurativi, quindi maternità, servizio militare, cassa integrazione o disoccupazione indennizzata. In pratica, come succede per le classiche Pensioni di vecchiaia o di anzianità, i contributi utili sono tutti quelli, anche provenienti da diverse casse previdenziali e cumulabili. I requisiti anagrafici e contributivi, insieme ai 3 mesi di assenza di ammortizzatori sociali, possono essere centrati entro la fine dell’anno e non necessariamente alla data di presentazione dell’istanza. La domanda infatti andrà corredata da una dichiarazione sostitutiva in cui il richiedente dichiara la previsione di centrare i requisiti non ancora completi, entro la fine del 2017.
Per i disoccupati, nulla da fare per chi non aveva i requisiti per percepire la Naspi o per chi ha perduto il lavoro per dimissioni o per scadenza del proprio contratto di lavoro. Per i dipendenti in agricoltura invece, la circolare n° 100 dell’Inps risolve un problema che si era presentato e che riguardava la particolare indennità di disoccupazione agricola. Infatti, la disoccupazione per i subordinati in agricoltura, viene percepita l’anno successivo al licenziamento. In pratica, i 3 mesi di vuoto da ammortizzatori sociali, per questi lavoratori, andrebbero centrati l’anno successivo a quello in cui si maturano gli altri requisiti di accesso all’Ape, cioè 63 anni di età e 30 di contributi.
Una anomalia questa che è stata risolta dall’Inps nel documento e che sottolinea come per gli addetti all’agricoltura, la disoccupazione agricola percepita nel 2017 deve considerarsi ininfluente ai fini dell’APE sociale perché relativa all’anno 2016. In pratica, un operaio in agricoltura, privo di lavoro, potrà richiedere l’Ape subito, fermi restando gli altri requisiti, perché la disoccupazione influente ai fini del requisito dei 3 mesi, sarà quella percepita nel 2016, relativa all’anno di lavoro 2015.