La disoccupazione è una tra le piaghe più fetide e persistenti del nostro tessuto sociale. Gli aggettivi sono pesanti, volutamente pesanti, come il malcontento che serpeggia tra i diretti interessati. Tralasciando gli ultimi dati che vedono a livello regionale un tasso di disoccupazione giovanile del 43% che, in alcune località del basso Molise tocca picchi del 67%, l'attenzione va concentrata sul lato umano del disagio. Qui si gioca la partita, qui si tocca con mano la realtà dei fatti. Quasi sempre, quando si trattano certe tematiche, si palesano e vengono dettagliati i punti di vista di coloro i quali, per dirla nel gergo popolare, hanno il coltello dalla parte del manico.
Questa volta però la visione è opposta, è quella di chi ha la lama contro, è la parola di chi subisce e vive subendo questo dramma. Questo è il caso di un ragazzo molisano, laureato in Scienze politiche con il massimo dei voti e che, per una questione di riservatezza, chiameremo con il nome fittizio di Antonio.
Cosa vuol dire, per un ragazzo come te, essere un disoccupato?
(Sorride). Sicuramente non è una bella cosa. Direi che è abbastanza frustrante attribuire a me stesso e a tanti miei "colleghi" un aggettivo del genere. A dire il vero, considerati tutti i sacrifici che io ed i miei genitori abbiamo fatto, alla luce della realtà, non esiterei a definire la situazione mortificante. Abbattersi e gettare la spugna sarebbe però il più grave errore.
Da quanto tempo non lavori?
Facciamo un passo indietro. Partiamo dal giorno in cui ho terminato gli studi. Spesso, guardandomi alle spalle, mi chiedo se effettivamente ho sbagliato qualcosa. Sono convinto che, se mi fossi laureato una ventina d'anni fa, avrei ricevuto minimo cinque proposte di lavoro a tempo indeterminato il giorno dopo. Quelli però erano tempi diversi. Oggi la criticità del problema emerge prepotentemente quando non solo bisogna lottare mesi e mesi per trovare un posticino di Lavoro che ti permetta quantomeno di respirare, ma soprattutto si vivono situazioni in cui un datore di lavoro ti vuole laureato col massimo dei voti, con meno di ventiquattro anni, con un'esperienza minima di tre e magari anche alto, biondo e con gli occhi azzurri. Comunque sia, faccio prima a dirti che in questi ultimi tre anni ho lavorato sette mesi in maniera saltuaria e precaria.
Vedi differenza tra te e tanti altri giovani che decidono di andare via?
L'unica differenza che noto è che, a ventinove anni, sono ancora fortunato perché ho due santi genitori che mi aiutano.
Sulla questione dell'emigrare per trovare lavoro la penso diversamente da tanti altri miei coetanei. Senza immaginare fantomatiche terre dell'oro altrove, dico che può essere vero che fuori dal nostro territorio qualche opportunità in più esiste, ma voglio rivolgerti una domanda che pongo sempre a me stesso. Perché dovrei andare via dalla mia terra quando ho tutti i diritti e la volontà di spendere il mio know how a casa mia?
Preferisco lottare con le unghie e con i denti affinché qualcosa qui cambi in maniera concreta.
Quante offerte di lavoro hai ricevuto in questi ultimi tre anni?
Partiamo dal presupposto che cercare lavoro è un vero e proprio lavoro. Tutte le volte che qualcuno ha risposto ad una mia candidatura mi ha sempre proposto qualcosa del tipo: "400 euro al mese per sei mesi e poi si vedrà!". Ovviamente sono stato costretto ad accettare perché con quei soldi almeno riuscivo a non dipendere dalla mia famiglia per quelle poche cose che mi permettono di vivere una vita sociale dignitosa. Quando manca anche questo, sei costretto a restare dentro casa perché in tasca non hai nemmeno quella 20 euro per la pizza con gli amici.
Per fare questo, non ti nego che in passato ho accettato anche offerte di lavoro a nero: dalla campagna all'imbianchino.
Concludendo, se fossi tu al posto delle istituzioni, cosa faresti per migliorare le cose?
Innanzitutto toglierei di mezzo quelle false illusioni che circolano negli ultimi tempi. Basta semplicemente vedere quanti ragazzi sono stati effettivamente assunti dopo il periodo di tirocinio con Garanzia Giovani. Mi vengono i brividi solo a pensarci. La situazione attuale ha un qualcosa di gattopardesco: tutto cambia per tornare esattamente com'era prima. In sostanza e senza mezzi termini, direi alle istituzioni di credere realmente nelle potenzialità delle nuove generazioni e di lasciare spazio e possibilità di manovra, dal privato al pubblico. La natura stessa ce lo insegna: Il futuro è nelle nostre mani.