Il lavoro del Governo entra nella sua fase cruciale, quella che porta alla Legge di Bilancio. Al suo interno, come consuetudine, tutti i provvedimenti di carattere economico e finanziario che entreranno in scena nell’anno 2018. Il contratto degli statali, le politiche di rilancio occupazionale e le Pensioni, sono gli argomenti che eroderanno gran parte delle spese per una manovra che dovrebbe aggirarsi sui 20 miliardi. Molta attesa c’è per il pacchetto previdenziale con misure che dovrebbero consentire ai lavoratori di superare i rigidi paletti per l’accesso alla quiescenza previste dalle norme della Legge Fornero.

La situazione da questo punto di vista appare complicata con un sistema che avrebbe bisogno di una riforma vera che il Governo non può permettersi.

Stop agli scatti, almeno per adesso

Uno dei temi cruciali, quando si tratta di affrontare l’argomento previdenziale, è senza ombra di dubbio l’applicazione del meccanismo dell’aspettativa di vita alle pensioni. La pensione di vecchiaia si centrava a 65 anni prima della Fornero, per poi passare a 66 anni e 3 mesi proprio con il Governo Monti e poi ancora a 66 anni e 7 mesi. Per le donne un anno in meno fino al 2017, perché dal 2018, come imposto da Bruxelles, si passerà anche per loro alla pensione a 66 anni e 7 mesi. Dal 2019 la pensione dovrebbe passare a 67 anni per tutti, almeno per quanto concerne la quiescenza di vecchiaia, quella che si può percepire con 20 anni di contributi versati.

Nelle ultime ore usare il condizionale è divenuto obbligatorio perché, come riporta il quotidiano “Il Giornale” dell’8 ottobre, il Governo sta pensando a rimandare tutto all’anno prossimo. In pratica, la decisione di avallare o meno l’aumento, che andrebbe presa tramite decreto (doveva essere emanato a settembre), sarebbe rinviata al 2018.

Questo non vuol dire che le istanze dei sindacati e di quanti ne chiedevano la cancellazione sono state accettate. Piuttosto viene da pensare che il Governo, per l'imminetne campagna elettorale, non voglia rischiare un provvedimento molto impopolare (come lo ius soli, anch'esso rinviato) e nocivo in termini di gradimento per l'Esecutivo.

La flessibilità

Un aggettivo che viene spesso inserito nella discussione sulle pensioni è flessibilità. In pratica, con questo termine si pensa a misure previdenziali che consentano di andare in pensione a scelta libera o quasi del lavoratore. Un principio applicato all’Ape che prevede la possibile pensione a partire dai 63 anni ma che può essere liberamente scelta dal lavoratore tra i 63 ed i 66 anni e 7 mesi. Il problema è che l’Ape, non sembra essere una vera misura pensionistica. L’Ape volontaria, che si centra con 20 anni di contributi, altro non è che un prestito bancario per avere il quale, oggi si da in garanzia la pensione futura e domani, dalla stessa verranno detratti i soldi che la banca ci ha prestato come anticipo.

La versione di Anticipo Pensionistico Sociale invece è una vera e propria prestazione assistenziale, per disabili, disoccupati, caregivers e lavori gravosi. Ci vogliono tra i 30 ed i 36 anni di contributi e una serie di altri requisiti specifici a seconda della categoria di appartenenza tra quelle prima citate. Nella prossima Legge di Bilancio potrebbero fare capolino norme a correzione di quelle in vigore che estenderebbero l’Ape a coloro che oggi ne risulterebbero esclusi, come alcuni disoccupati che vengono fuori da lavoro precario o come quelli che non hanno potuto percepire la Naspi (il sussidio di disoccupazione). Piccoli ritocchi a misure che come abbiamo visto hanno poco di flessibilità.

Si fa un gran parlare di quota 100 e questa a dire il vero appare l’unica soluzione per dotare il sistema della flessibilità in uscita. Che si parta dai 62 anni di età come prevede Damiano nel suo DDL 857, oppure dai 58 anni come da proposta della Lega, la possibilità di andare in pensione con quota 100 è totalmente a scelta del lavoratore. La somma dell’età anagrafica e dei contributi versati, magari aprendo al calcolo delle frazioni di anno, consentirebbe a molti di poter organizzare da soli la possibile uscita dal lavoro. Una misura che oggi a dire il vero sembra essere una “chimera” perché le casse dello Stato non possono sopportarla, a meno che nella Manovra di Bilancio non esca il classico coniglio dal cilindro.

Speranze poche, ma in passato, sorprese nelle manovre finanziarie dei Governi ce ne sono state. Il 16 ottobre se ne saprà probabilmente di più, a Legge di Stabilità presentata e da correggere durante i vari passaggi nelle commissioni ed in Parlamento.