Dovrebbe essere stata scritta la parola fine sul prepensionamento dei lavoratori precoci con quota 41 ed il blocco dell'aspettativa di vita, almeno per quanto riguarda la manovra finanziaria per il 2018. Le ultime notizie sulle pensioni aggiornate ad oggi 17 ottobre sono lo specchio delle dichiarazioni rilasciate ieri dal ministro del Lavoro Poletti, il quale ha riferito che la previdenza non è la priorità per la prossima Legge di Bilancio. Una doccia fredda non soltanto per i sindacati, che al termine dell'incontro di ieri hanno confermato tutte le loro perplessità circa le iniziative del governo sulla fase 2 discussa per mesi, ma anche per tutti quei lavoratori che adesso vedono come realtà l'aumento dell'età pensionabile a 67 anni a partire dal 1° gennaio 2019.

La quota 41 per tutti i lavoratori precoci rimane un miraggio

Un miraggio era e tale è rimasto dopo l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di ieri sera la pensione con quota 41 per i lavoratori precoci. Anche durante l'ultima manifestazione di sabato, la sindacalista Susanna Camusso aveva espresso il proprio appoggio alla causa nel dichiarare che 41 anni di lavoro in una catena di montaggio bastano e avanzano, esortando l'esecutivo a rivedere il meccanismo dell'aspettativa di vita e "riscoprire" la pensione di anzianità.

Parole al vento, così come i numerosi incontri avvenuti all'interno della sede del Ministero del Lavoro fra i sindacati e i rappresentanti del governo, su quella che era stata ribattezzata come la fase 2 del capitolo previdenziale.

Se l'anno scorso erano stati ottenuti dei piccoli successi come l'Ape social e la quota 41 per determinate categorie di precoci, sebbene nelle ultime ore vengano segnalate migliaia di domande respinte da parte dell'Inps, per quest'anno si profila una disfatta su tutta la linea.

Un film dal finale già visto, con le recenti dichiarazioni di Maurizio Landini che tornano di nuovo alla memoria di tutti.

Nel rispondere a Francesca Lemma, amministratrice del gruppo "41 per Tutti Lavoratori Uniti", il rappresentante della Cgil aveva dichiarato pubblicamente che il governo era "sordo" di fronte alla richiesta dei sindacati di mandare in pensione tutti i lavoratori dopo 41 anni di contributi. Impossibile, ad oggi, prevedere cosa succederà nell'immediato futuro.

Probabile che la lotta per quota 41 riprenda più forte di prima, così come l'argomento tornerà centrale durante l'imminente inizio della campagna elettorale.

Nessuno tocchi l'aspettativa di vita

Sconfitta su tutta la linea anche per quanto riguarda l'eventuale posticipo della decisione sull'aspettativa di vita, confermata per il prossimo biennio 2019-2020, durante il quale per andare in pensione occorrerà avere un'età anagrafica di 67 anni, cinque mesi in più rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi richiesti. Uno dei cardini della legge Fornero resta dunque invariato, con l'esecutivo che ha confermato il meccanismo che adegua automaticamente l'età pensionabile alla speranza di vita.

A nulla sono servite le richieste non soltanto dei sindacati ma anche di alcune personalità all'interno dello stesso Partito democratico, come ad esempio Cesare Damiano.

Il presidente della Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati anche qualche giorno fa era ritornato sulla vicenda, chiedendo all'esecutivo Gentiloni di considerare un rinvio della decisione sull'aspettativa di vita a giugno del 2018. Nessuna retromarcia invece da parte del governo, per la delusione di migliaia di lavoratori, che devono aggiornare nuovamente la loro tabella sull'avvicinamento alla pensione, spostando l'asticella di ulteriori cinque mesi.