Non c'è tregua per i lavoratori italiani, soprattutto per quelli che si augurano, prima o poi, magari più prima che poi, di poter andare in pensione e godersi il meritato riposo dopo una vita di fatiche. Un nuovo affondo in materia di previdenza arriva dall'OCSE, che nel “Panorama sulle Pensioni 2017” afferma che non è vero che in Italia si vada in pensione a 67, in quanto l'età di uscita effettiva dal mondo del lavoro è più bassa di circa 4 anni.
I calcoli in prospettiva: 71 anni
L'OCSE precisa subito, però, che questi dati sono relativi alla fotografia attuale del mondo del lavoro in Italia, mentre i calcoli sulle previsioni future sono molto differenti: i nati negli anni Novanta, che hanno iniziato a lavorare a vent'anni e avranno una carriera senza interruzioni, se saranno applicate le regole attualmente in vigore, potranno andare in pensione a 71 anni suonati.
Il calcolo riguarda appunto persone che hanno iniziato a lavorare presto e avranno magari la bravura, ma anche la fortuna di lavorare senza soluzione di continuità; per chi sarà meno fortunato e dovrà affrontare periodi di precarietà o di disoccupazione, la situazione sarà ancora peggiore. Nel panorama europeo l'età di pensionamento italiana sarà quasi la più elevata, seconda soltanto a quella prevista in Danimarca, 74 anni. La media dei paesi comunitari è invece decisamente più bassa: 65,5 anni.
Sostenibilità finanziaria
Per questo secondo posto in classifica, però, secondo l'OCSE l'Italia pare non meritare alcuna medaglia, anzi ci viene raccomandato di non arretrare dal punto di vista dell'età anagrafica, inserendo possibilmente ulteriori inasprimenti del sistema pensionistico.
Questo principalmente per due ragioni: intanto perché si prevede un rilevante invecchiamento della popolazione, quindi tanti pensionati rispetto a pochi lavoratori; poi per poter garantire assegni pensionistici adeguati, insomma se si vuole prendere di più bisognerà lavorare ancora più anni.
Problemi irrisolti
Se, quindi, da un lato governi e organizzazioni sovranazionali si preoccupano dell'annosa questione della sostenibilità economica del sistema previdenziale, pare invece che tutti gli altri problemi ad esso connessi e amplificati dalle riforme oggi in vigore, vengano decisamente messi in secondo piano, quando non dimenticati del tutto.
Ad esempio, come si potranno garantire carriere ininterrotte, se non si liberano posti di lavoro, occupati da ultrasessantenni che non possono andare in pensione? E come potranno resistere fino a settant'anni tutti quei lavoratori che sono impegnati in mansioni molto faticose dal punto di vista fisico, potendo godere solo di un piccolo sconto per il fatto di essere classificati tra gli “usuranti” o i “gravosi”?
E che ne sarà dei lavoratori appartenenti a categorie la cui aspettativa di vita è di molto inferiore alla media, come i macchinisti e il personale viaggiante delle ferrovie che da anni denunciano un'aspettativa di meno di 65 anni?