La Legge Fornero probabilmente è uno degli atti di Governo più discussi, discutibili ed odiati degli ultimi anni. Una serie di costanti e ripetuti inasprimenti in termini di soglie e requisiti che vanno centrati per andare in pensione rendono la quiescenza per gli italiani, sempre più difficile. I conti pubblici non permettono voli pindarici e progetti di cambiamento radicale del sistema, almeno per quanto concerne i numeri di cui parlano sempre Ragionieri dello Stato, Inps e noti esponenti della finanza pubblica. I leader dei partiti che hanno vinto le elezioni invece propongono tra i primi atti di Governo, se mai dovesse partire, proprio la cancellazione della Riforma Fornero.

Un atto che dovrebbe consentire agli italiani di accedere prima alle Pensioni. Questo in barba alla sostenibilità del sistema ed ai tagli della spesa pubblica, tra cui anche quella previdenziale che chiede all'Italia la Comunità Europea. Proprio il paragone tra Italia e resto d’Europa però, in riferimento alle soglie di accesso delle pensioni, risulta oggetto di un nuovo studio che rafforza la convinzione che il sistema italiano sia il più penalizzante. Ecco una recente analisi prodotta dalla CGIL in solido con la Fondazione Di Vittorio ed una proposta di riforma pensionistica che proviene proprio dal sindacato capeggiato dalla Camusso.

Le pensioni in Europa

“I sistemi previdenziali europei”, questo il titolo dello studio di cui parlavamo in premessa.

In pratica, l’analisi ha messo a confronto le pensioni di vecchiaia ed i requisiti per accedervi in Italia e in altri 5 paesi europei, quelli più importanti, cioè Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna. L’età pensionabile in Italia come si sa è pari a 66 anni e 7 mesi e dal 1° gennaio 2018, questo limite vale sia per gli uomini che per le donne.

Nel 2019, cosa anche questa ormai risaputa, l’età pensionabile salirà a 67 anni. In Francia per il triennio 2017-2019 la pensione di vecchiaia si centra con 62 anni di età. In Germania sono necessari 65 anni e 7 mesi e si salirà di un solo mese, quindi a 66 anni e 8 mesi nel 2019. Nel Regno Unito si è passati dai 65 anni del 2017 ai 65 e 2 mesi del 2018 ed è confermato l’ennesimo step nel 2019, con le pensioni di vecchiaia che si percepiranno a 65 anni e 6 mesi.

In Spagna infine, per il 2018 sono necessari 65 anni e 6 mesi e nel 2019 65 anni ed 8 mesi. In pratica nel resto dell'Europa che più si avvicina all'Italia come economia e tradizione, si va in pensione diversi mesi prima. Per esempio, i 67 anni in Spagna si dovrebbero raggiungere, proseguendo questo trend, solo nel 2027, mentre in Germania solo nel 2029.

Pensioni e flessibilità

Il segretario confederale della CGIL, Roberto Ghiselli nel presentare e commentare questi dati ha ribadito la necessità di superare la riforma Fornero e di introdurre criteri di flessibilità nel mondo previdenziale nostrano. Una flessibilità che si dovrebbe attuare a partire dai 62 anni di età, come da sempre la CGIL propone.

Inoltre il sistema dovrebbe dotarsi di strumenti atti a tutelare le pensioni dei giovani di oggi, dei precari, di chi svolge attività a rischio logoramento, dei precoci ed anche delle donne. Dallo studio infatti emerge che negli altri paesi messi a confronto con la nostra penisola, qualche criterio di tutela e flessibilità esista già e che il nostro sia l’unico a non prevederne alcuno o quasi. In Francia e Germani, ferme restando le soglie dell'età pensionabile, esistono numerose possibilità di anticipo pensionistico per lavori usuranti, gravosi, per disabilità o per carriere lunghe. In Spagna vige un meccanismo che consente ai lavoratori di poter chiedere la pensione di vecchiaia anticipata rinunciando a parte di essa.

In Gran Bretagna invece almeno fino al 2018 saranno confermate le differenze di genere, con le donne che vanno in pensione nel 2018 con 64 anni e 5 mesi e nel 2019 con 65 anni e 2 mesi. Penalizzati gli italiani in termini di diritto alle pensioni quindi secondo lo studio, ma non finisce qui. Sempre la CGIL, stavolta in base a quanto dichiarato dal responsabile dell'Ufficio Previdenza Pubblica del sindacato, Ezio Cigna, il sistema italiano è il più penalizzante anche perché modifica ogni biennio i coefficienti di trasformazione dei contributi versati in pensioni. Una trasformazione resa necessaria dal sistema di calcolo adottato che è il contributivo. A pensioni più lontane nel tempo quindi si aggiungono assegni previdenziali evidentemente più bassi.