Il ministro Luigi Di Maio, come le cronache di questi giorni ci raccontano, è alle prese con il "Decreto Dignità" che tra le altre cose contiene norme stringenti per regolamentare i rapporti di lavoro tra le piattaforme online di servizi e la manodopera necessaria. Nella bozza attuale, si cerca di ridefinire tali rapporti, imponendo alle aziende (sulla bocca di tutti è Foodora) l'assunzione in pianta stabile delle persone che operano per loro conto. Il problema è che tali rapporti sono di fatto, per la tipologia di lavoro richiesta, dei lavori discontinui e con tale provvedimento si intende assimilare al lavoro dipendente persone che agiscono con propri mezzi, che decidono quanto lavorare e quanto riposare in totale autonomia.

L'obiettivo del "decreto dignità" e la realtà del mondo del lavoro

Il punto è che il mondo del lavoro è profondamente cambiato nell'ultimo decennio e l'Istat certifica tale cambiamento: gli ultimi dati disponibili dimostrano che nel primo trimestre di quest'anno si registrano 60.000 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato, contro 283.000 nuovi posti di lavoro a tempo determinato, questo nonostante il Jobs Act, provvedimento nato per rendere più stabili i rapporti di lavoro, prevedesse e incoraggiasse con generosi sgravi fiscali i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti. Tale fenomeno è ormai un trend costante, ed è dovuto alle trasformazioni del mondo del lavoro e del modo di "consumare" i servizi, con un mercato che oggi vive di cambiamenti continui e tali, da richiedere alle aziende sempre la massima flessibilità e capacità di adattamento a fluttuazioni improvvise della domanda.

Sono poche le aziende che oggi hanno un portafoglio ordini di lungo periodo, tale da consentire una programmazione del lavoro e del fabbisogno di mano d'opera da assumere stabilmente. Potendo, nessuna azienda rinuncia a personale formato e affidabile, sia per una questione di efficienza che di costi. Ma se oggi i nuovi rapporti di lavoro sono per lo più discontinui, lo stesso concetto di precarietà assume significati variabili, perdendo di senso in talune situazioni: perché un conto è l'addetto alle pulizie a contratto trimestrale, indubbiamente un precario, un altro è l'ingegnere o il manager a 80.000 euro l'anno con contratto a termine.

In quest'ultimo caso appare difficile ragionare in termini di precarietà. Appare allora chiara, la difficoltà di regolare la questione con un decreto che non tenga conto di tali cambiamenti. Intanto, due giorni fa, c'è stato un primo tavolo tra ministro ed aziende, dove queste ultime si sono mostrate fiduciose definendo l'incontro con Di Maio positivo.