Dopo tanto parlare e dopo tante promesse l’esecutivo Conte adesso deve iniziare a produrre gli atti e le misure che ha garantito di poter fare. Atti che prima sono stati inseriti nei programmi dei due schieramenti politici durante la campagna elettorale delle politiche del 4 marzo e che, successivamente, hanno fatto capolino nel contratto sottoscritto da Matteo Salvini e Luigi Di Maio e ribattezzato “del cambiamento”. L’intesa di Governo infatti si basa proprio sull’ormai famoso contratto che tra i tanti punti e le tante pagine di cui è composto, ne ha uno che interessa molto gli italiani, il capitolo Pensioni.

I più critici e contestatori del nuovo esecutivo Lega-M5S stanno già leccandosi i cosiddetti “baffi” perché adesso che si comincia a parlare di atti nel senso stretto della parola, il nuovo Governo inizia a scontrarsi col problema conti pubblici. Tanto è vero che le misure previdenziali facenti parte del pacchetto pensioni inserito nel contratto, rischiano di nascere in maniera diversa e meno appetibile per i lavoratori, rispetto alle credenze iniziali.

Evitare il tracollo dei conti pubblici

Sulla spesa previdenziale in Italia si è fatto un gran parlare negli ultimi anni e sempre in riferimento a proposte e progetti di cambiamento del sistema che va ricordato, ancora oggi si regge in piedi sulla riforma Fornero.

La sostenibilità del sistema era messa a serio pericolo anche dalla semplice estensione a tutti di quota 41 o dall’ampliamento delle mansioni gravose su cui i due ultimi Governi PD hanno lavorato per anni. Ne sa qualcosa Cesare Damiano, ex Ministro ed ex Presidente della Commissione Lavoro della Camera che si era spinto a preparare una proposta di riforma (il famoso DDL 857) che è stata accantonata proprio per via della sostenibilità del sistema.

Eppure il grosso dell’idea riformatrice di Damiano, che si basava sull’uscita con quota 97 (62 anni e 35 di contributi), era caricata sui futuri pensionati che per anticipare la pensione ci avrebbero rimesso parte dell’assegno previdenziale come penalizzazione. Con le idee del duo Salvini-Di Maio, appare evidente che conti pubblici subirebbero un autentico scossone, sia per quota 100 che per quota 41.

Una spesa che il duo prevede in 5 miliardi di euro e che dall’Inps fanno sapere sia tre volte maggiore. Ma che siano 5 o 15, non cambia il fatto che in un momento storico in cui anche Bruxelles spinge per la riduzione dell’esborso da parte dello Stato Italia in termini di spesa pubblica, tutto appare insostenibile.

Ed arrivano già i correttivi

Sembra di esser tornati indietro alle novità pensionistiche del Governo Renzi o Gentiloni quando, per esempio, si avviò l’Ape sociale ma si ridusse il numero degli aventi diritto riducendo a 11 categorie (poi diventate 15) di lavori gravosi l’area a cui destinare la misura. Oppure quando si inserì il paletto dei 6 anni negli ultimi 7 svolti nell’attività gravosa che dava diritto all’Ape agevolata o a quota 41.

Vincoli e limitazioni che vengono inseriti per limitare la platea di potenziali beneficiari di una misura previdenziale che consente l’anticipo. Sta accadendo la stessa cosa con quota 100 che, per quanto trapela, dovrebbe prevedere una età minima da raggiungere che sarebbe 64 anni. La misura che veniva pubblicizzata come quella flessibile che consentiva il pensionamento quando età anagrafica e versamenti contributivi, sommati davano 100, ad oggi escluderebbe quelli con 63 anni e 37 di contributi. Per questi sarà necessario attendere i 4 anni di lavoro mancanti per quota 41 (altra misura nuova ma che si valuta di correggere con l’aspettativa di vita), oppure i 4 anni mancanti per l’età pensionabile prevista dalla quiescenza di vecchiaia, che dal 2019 passerà a 67 anni.

In definitiva una quota 100 monca e che per via delle finanze pubbliche, sarà appetibile da meno lavoratori. senza considerare poi che per i possibili fruitori dell’Ape sociale, baserebbero 63 anni di età per chiedere l’anticipo e che quindi, della quota 100 non saprebbero che farsene. Su quest’ultimo punto poi, dato che l’Ape sociale è una misura sperimentale che scadrà a fine 2018, il Governo sembra non avere l’intenzione di prolungarne la sperimentazione. In parole povere, sull’altare di quota 100 si andrebbe a cancellare una misura che è vero, era appannaggio di pochi individui, ma che consentiva una età di pensionamento un anno prima di quella minima prevista dalla novità.