Con l’ok da parte di Bruxelles alla manovra finanziaria del governo Conte, nel sistema previdenziale entra la ormai celebre quota 100. La maggioranza di governo reputa la misura un passo in avanti verso il progetto di cancellazione della legge Fornero, mentre le opposizioni la considerano solo una misura ininfluente che a poco servirà. Tralasciando le polemiche ed i punti di vista di favorevoli o contrari, la misura permetterà ad un discreto numero di lavoratori di anticipare la pensione rispetto alle norme che saranno in vigore anche nel 2019 e che si basano sempre sull’ultima vera riforma previdenziale a memoria d’uomo, cioè a quella del governo Monti e dell’allora Ministro Fornero.

La misura parte con paletti e vincoli che non sono stati cambiati, ma con l'aggiunta della clausola salva conti dello Stato se le risorse disponibili risulteranno inferiori.

Quota 100

La quota 100 nasce senza paletti e nei tempi prestabiliti, con le probabili prime erogazioni a primavera. Questo in base alle dichiarazioni del Premier Conte e degli altri leader della maggioranza che hanno accompagnato l’ok alla manovra da parte dei vertici europei. Schivata la procedura di infrazione nulla ostacola il percorso della misura che però nasce con dotazioni inferiori a quelle previste inizialmente. Secondo Salvini, intervenuto su RadioUno, se i tecnici del governo valutano sufficienti i fondi adesso disponibili per la misura, vuol dire che tutto è ok.

Nella misura però vengono previsti vincoli, paletti e adesso anche una clausola salva conti.

Si andrà in pensione con almeno 62 anni di età e 38 di contirbuti, attendendo però le finestre di uscita che restano per il momento, di 3 mesi nel lavoro privato e di 6 mesi nel pubblico. In materia finestre, utilizzare l’ipotetico è obbligatorio dal momento che l’esecutivo nella misura ha inserito una clausola di salvaguardia che scatterà nel caso in cui le richieste di pensione con la quota 100 siano numericamente superiori a quelle ipotizzate dai tecnici di governo.

Nel caso di domande superiori alle attese, le finestre potrebbero allungarsi di ulteriori 3 mesi. La platea di interessati è di circa 350mila lavoratori, di cui la metà nel pubblico impiego. Il governo stima in 315mila il numero massimo di persone che potrebbero scegliere il nuovo canale di uscita, per via di evidenti disincentivi immessi nel pacchetto normativo della misura, cioè:

  • inevitabile riduzione di assegno pensionistico dovuto al minor numero di contributi versati;
  • finestre mobili che spostano la decorrenza della pensione riducendo il vantaggio in termini di uscita;
  • Divieto di cumulo della pensione con altri redditi da lavoro ad esclusione di quelli da lavoro autonomo occasionale e fino a 5.000 euro.

Le altre vie di uscita dal lavoro

Un dato certo è che nonostante i proclami, la quota 100 agevolerà qualcuno in termini di uscita anticipata dal lavoro, ma la legge Fornero resta pienamente in vigore.

Per esempio, le Pensioni di vecchiaia nel 2019 si centreranno 5 mesi più tardi rispetto al 2018. L’età pensionabile sale a 67 anni sempre con la soglia minima di 20 anni di contributi necessari. Un aumento che forse non sarà applicato per le pensioni anticipate, quelle distaccate da limiti di età che anche nel 2019 si centreranno alle medesime soglie del 2018, cioè 42 anni e 10 mesi di contributi per i richiedenti uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Anche qui però dovrebbero entrare le finestre, con la pensione che decorrerà dopo 3 mesi.

Altra novità è la riapertura di opzione donna, misura sperimentata in passato e che l’anno venturo consentirà alle lavoratrici che aderiranno, di lasciare il lavoro con 58 anni di età, 35 di contributi e pensione calcolata con il sistema contributivo, quindi penalizzante.

Resterà attiva anche la pensione di vecchiaia contributiva che sale a 71 anni ma per la quale bastano solo 5 anni di contributi. In questo caso si valuterà se abbattere la soglia di pensione minima prevista, perché ad oggi la misura è erogabile solo se l’assegno percepito sia pari o superiore a 2,5 volte l’assegno sociale. Ancora attive anche le varie deroghe come quelle Amato o l’opzione Dini. Si tratta di misure di nicchia, valide solo per piccole e determinate fattispecie di lavoratori, cioè per una platea alquanto ridotta. La pensione con queste deroghe si centra sempre con l’età pensionabile di 67 anni, ma con 15 anni di contributi. Per la deroga Amato, via dal lavoro se si è stati autorizzati alla prosecuzione volontaria dei versamenti prima del 1993, anche se non si è mai provveduto a versare.

Stessa possibilità se i 15 anni di contributi necessari siano stati versati prima del 31 dicembre 1992.

Infine, in pensione con 15 anni di contributi, anzianità contributiva di 25 anni e 10 di questi 15 anni versati per periodi di contribuzione inferiori alle 52 settimane per anno. È possibile la pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi anche con la deroga prevista dalla Legge Dini. La pensione in questo caso è calcolata tutta con il sistema contributivo e solo se si possiedono meno di 18 anni di contributi, dei quali uno prima del 1996 ed almeno 5 dopo. Infine, conferma per l’Ape sociale e la quota 41 due misure tra il previdenziale e l’assistenziale. La prima permette l’uscita con 63 anni di età e con 30 anni di contributi per disoccupati, invalidi e caregivers o con 36 anni per soggetti alle prese con lavori gravosi. La seconda è destinata agli stessi soggetti ma senza limiti di età e solo se dei 41 anni di contributi richiesti, uno sia stato versato prima dei 19 anni di età.