Quando si parla di Pensioni spesso si parla anche di aspettativa di vita. Un discorso che vale per i requisiti di accesso alle pensioni, che fin dai tempi del governo Berlusconi sono stati collegati alla vita media degli italiani. Con la Fornero poi, l’inasprimento delle soglie di accesso alle pensioni, sempre in collegamento a questa stima di vita è diventato evidente, con la pensione di vecchiaia che per esempio, dal 1° gennaio 2019 è salita a 67 anni. Secondo l’Istat la vita media della popolazione italiana è di 86 anni pertanto con la pensione di vecchiaia a 67 anni, mediamente l’Inps paga 19 anni di pensione per ciascun pensionato.

Partendo da questo dato, il quotidiano il Messaggero ha pubblicato un articolo sulla nuova misura previdenziale emanata dal governo Conte, la quota 100. Secondo il quotidiano la quota 100 sarebbe conveniente a partire dal ventesimo hanno di fruizione, nonostante sia evidente ciò che ci rimettono i pensionati in termini di assegno previdenziale il giorno che andranno a sfruttare il nuovo canale di uscita.

La misura, tra penalizzazioni e vantaggi

La novità previdenziale con la quale ad aprile i primi lavoratori potranno andare in pensione già con 62 anni di età e 38 di contributi è senza penalizzazioni di calcolo o di taglio lineare di assegno. Le pensioni erogate in regime quota 100 verranno calcolate come importi, con le stesse regole di tutte le altre misure pensionistiche, cioè con il sistema misto, contributivo e retributivo a seconda del periodo in cui sono stati versati i contributi durante le carriere dei lavoratori.

Nessun taglio per anno di anticipo come inizialmente sembrava dovesse essere previsto e come è stato fatto altre volte in passato quando si sono varate misure di anticipo pensionistico.

Quota 100 è vantaggiosa? Una domanda che molti lavoratori si pongono, confusi da ciò che si legge sui media e sul web. Se si guarda nello specifico all’uscita dal lavoro, la misura è sicuramente vantaggiosa, perché permette un anticipo evidente rispetto alla pensione di vecchiaia.

Poter lasciare il lavoro con 62+38 significa anticipare la quiescenza di 5 anni. Essendo misura opzionale, sempre con 38 anni di contributi si può scegliere la quota 100 anche con 63, 64, 65 o 66 anni, offrendo pertanto anticipi tra uno e 5 anni rispetto ai 67 anni. Gli assegni però non potranno mai essere di importo pari a quelli che si sarebbero percepiti attendendo di completare le soglie delle pensioni di vecchiaia.

Tagli medi dell’8%, come riporta il Messaggero, dovuti al fatto che lasciando anticipatamente il lavoro, si andrebbero a non versare più i contributi previdenziali che per inciso valgono il 5% di pensione per ogni anno. Inoltre il montante contributivo verrà trasformato in pensione adottando coefficienti di trasformazione che la normativa prevede meno favorevoli per ogni anno prima in cui si riesce a lasciare il lavoro.

Il tempo risolve tutto

L’assegno diviene più vantaggioso dopo il ventesimo anno in cui si percepisce la pensione da quotista. Così recita l’articolo del quotidiano perché in effetti, dai 19 anni di godimento medio della pensione con lo strumento della vecchiaia, con quota 100 si potrebbe arrivare a percepire il proprio assegno per 24 anni.

Per chi avrebbe avuto diritto ad una pensione con le regole Fornero da 2.000 euro al mese, ma a 67 anni, la quota 100 significherà percepirne una di 1.530 euro ma anche 5 anni prima. Una perdita di 500 euro al mese che sarebbe di 123.000 euro nei 19 anni di godimento medio in base ai dati Istat. Godere dell’assegno previdenziale per 5 anni in più, sempre a 1.530 euro al mese, garantirebbe circa 100.000 euro di maggiore pensione incassata.

La perdita rimasta, in termini di euro, verrebbe detonata in parte dalla rivalutazione degli assegni che avrebbe 5 anni in più di tempo per far crescere gli assegni. Nel calcolo pubblicato dal quotidiano, si arriverebbe ad avere un assegno di pensione più alto di circa il 3%.

Inoltre bisogna anche sapere che la tassazione italiana sul reddito, cioè l’Irpef, in relazione alle pensioni, prevede un meccanismo a scalare in base agli importi di pensione. Una pensione di 2.000 euro paga più Irpef di una di 1.530 euro. Tra rivalutazione e minor tassazione applicata, il guadagno percentuale dell’assegno con quota 100 per tutta la durata di fruizione della pensione arriverebbe a punte anche dell’8%.