Ad aprile ci saranno i primi lavoratori che andranno in pensione con quota 100. Ormai la misura è varata anche se adesso bisognerà attendere la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale e le classiche circolari che spiegheranno meglio il meccanismo di richiesta da parte dell’Inps. Ad aprile dicevamo, perché la misura, anche se in vigore dal 1° gennaio, funzionerà con il sistema delle finestre di uscita, cioè con la pensione che anziché decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di completamento dei requisiti richiesti, si centrerà dopo 3 o 6 mesi.
Vediamo adesso chi può accedere alla pensione con quota 100 e cosa c’è di particolare nella misura che secondo le stime interesserà una platea di circa 350 mila soggetti.
Il doppio vincolo anagrafico e contributivo
La misura si chiama quota 100 sottintendendo il fatto che per essere centrata, i lavoratori sommando gli anni di contributi alla loro età anagrafica devono raggiungere la quota. Il sistema prevede due soglie minime per poter rientrare nella misura cioè 62 anni come limite anagrafico e 38 anni come requisito contributivo. Le due soglie fisse aumentano la quota necessaria per soggetti sopra i 62 anni. Infatti il limite dei 38 anni dei contributi resta sempre costante e sarà da centrare anche per chi ha 63, 64, 65 o 66 anni.
In effetti, un soggetto che, ad esempio, nel 2019 compirà 65 anni potrà sfruttare due anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia che dal 1° gennaio si matura a 67 anni, ma solo se si trova comunque ad aver maturato 38 anni di contribuzione previdenziale, cioè quota 103 (65+32).
Le uscite con le finestre
La prima apertura delle finestre di cui consta la misura è per aprile 2019.
Potranno accedere a questa uscita solo coloro che hanno raggiunto i requisiti richiesti entro il 31 dicembre appena trascorso. Per gli altri, cioè per quelli che invece si accingono a centrare i requisiti nei prossimi mesi (o che li hanno già centrati dal 1° gennaio 2019), la decorrenza del primo assegno pensionistico che incasseranno sarà dopo 3 mesi dalla data di effettivo raggiungimento delle soglie.
Discorso differente per gli statali per i quali il periodo di attesa è più lungo. Infatti le finestre per i lavoratori pubblici sono di 6 mesi, con le prime uscite previste con le medesime condizioni dei lavoratori del settore privato, viene fissata a luglio 2019.
Divieti, riduzioni di assegno e fondi di solidarietà
Chi uscirà dal lavoro scegliendo la quota 100, che resta misura opzionale per i lavoratori, dovrà sottostare al cosiddetto divieto di cumulo. In pratica, sarà fatto divieto a quanti percepiranno la pensione con la quota, a non poter arrotondare la pensione con altri redditi da lavoro fatta esclusione per quelli derivanti dal lavoro autonomo occasionale come disciplinato dal Codice Civile e per un importo massimo annuo di 5.000 euro.
La pensione con la quota 100, nonostante non siano state previste nel decreto, penalizzazioni di assegno in base all’entità dell’anticipo o ricalcoli con il sistema contributivo più penalizzante (come per esempio accade per opzione donna), sarà di importo ridotto rispetto a quanto avrebbero dovuto percepire i lavoratori restando però in servizio. Infatti, come per tutte le misure previdenziali oggi vigenti, lasciare prima il lavoro significa versare meno contributi e ricevere una trasformazione dei contributi in pensione con coefficienti più bassi. Per le aziende che sceglieranno la via dell’esodo e del ricambio generazionale dei propri organici dei dipendenti, la quota 100 potrebbe offrire un assist in questo senso.
Infatti il decreto richiama allo strumento dei fondi bilaterali di solidarietà, da poter utilizzare per mandare a riposo i lavoratori che si trovano a 3 anni dal centrare le soglie di uscita previste per la quota 100. Un meccanismo in parte clonato dall’isopensione e che prevede accordo sull’esodo tra aziende e sindacati. In questo modo, se le parti in causa saranno in sintonia, il lavoratore che si trova a 59 anni o con 35 di contributi versati, potrebbe essere accompagnato a quota 100 con un assegno straordinario erogato tramite il fondo di solidarietà, dall’azienda. Il datore di lavoro in questo modo avrebbe la possibilità di svecchiare il parco dipendenti sostituendo i fuoriusciti con lavoratori più giovani, perseguendo il duplice obbiettivo del turnover e dell’innovazione.