Molti giornali e media parlano di fuga dalla Scuola e dalla sanità perché sono molte le domande di pensione che in questi giorni i lavoratori di questi due comparti della Pubblica Amministrazione stanno inviando. Il nuovo canale di uscita con la quota 100 sta producendo i suoi effetti. Come riporta il sito Orizzontescuola.it, le uscite riguardano tanto i docenti che il personale Ata. Il fenomeno non è meno evidente nel sistema sanitario nazionale, dove nel prossimo triennio, quello in cui sarà in vigore la quota 100 (è misura sperimentale in vigore dal 2019 al 2021), si prevede una massiccia uscita di medici.

Come affermano da tempo anche i sindacati, i quali hanno visto in quota 100 una misura che calza a pennello a lavoratori del pubblico impiego, notoriamente caratterizzati da carriere lunghe e continue. Per questo ci sarebbe il concreto rischio di svuotare scuole ed ospedali di molte migliaia di lavoratori e ci sarebbero nette difficoltà ad avviare le operazioni di sostituzione, con il cosiddetto turnover che nelle Pubbliche Amministrazioni ha regole particolari, tra concorsi e graduatorie.

La quota 100 fa da traino all'esodo

Con la quota 100 è possibile lasciare il lavoro con minimo 62 anni di età e 38 anni di contributi versati. Proprio il requisito contributivo è quello che i sindacati considerano il fardello più pesante imposto alla misura.

Un numero considerevole di contributi versati da detenere per poter accedere all’anticipo pensionistico. In questo modo quota 100 esclude quanti hanno avuto carriere frammentate ed interrotte, ma si adegua perfettamente a lavoratori dei comparti pubblici che godono di una notevole continuità di impiego da anni. La reazione del personale di scuola e sanità all’entrata in vigore di quota 100 sta assumendo i connotati dell’esodo, con la corsa ad accaparrarsi la pensione con la prima data utile.

Il carattere temporaneo di quota 100 e ciò che è successo nel 2011, con l’avvento della legge Fornero che spostò in avanti negli anni i requisiti di accesso alle Pensioni, altro fattore quest'ultimo che può spingere tali lavoratori a chiedere l’uscita dal lavoro con una certa solerzia.

Le supplenze

Sulle 80.000 domande circa presentate in questi giorni, molte provengono dal pubblico impiego e soprattutto dai due comparti più grossi che sono proprio la sanità e la scuola.

Nella scuola per esempio, il 28 febbraio scorso è scaduto il termine per la presentazione delle domande di cessazione dal servizio al prossimo 1° settembre. Come verranno coperte le cattedre ed i posti vacanti tra il personale Ata e come verranno sostituiti i medici e gli infermieri che andranno in pensione sono domande che devono necessariamente ottenere una risposta. Già nel 2018 erano previste massicce immissioni in ruolo di insegnanti, ma non tutti i posti vacanti sono stati coperti per carenza di insegnanti abilitati in determinate materie. La stessa situazione è ipotizzabile per l’anno scolastico nuovo e per quello successivo che sicuramente segnerà il ricorso massiccio alle supplenze ed all’estensione anche ad insegnanti appena laureati.

Nella sanità il discorso appare meno certo perché rispetto alla scuola non c’è una data prefissata per le domande di cessazione dal servizio. Resta il fatto che già oggi nei reparti di chirurgia, pediatria e nei pronto soccorso, mancherebbero già circa 10.000 medici come organico ed a questi si andrebbero ad aggiungere quelli in procinto di lasciare il lavoro con la quota 100.