Il lavoratore che durante il suo turno di Lavoro si addormenta in servizio non può essere sanzionato con il licenziamento per giusta causa se il datore di lavoro non prova che da tale condotta sia configurabile, in concreto, l'abbandono del posto di lavoro. Queste, in estrema sintesi, le conclusioni a cui è pervenuta la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione e che sono state raccolte e compendiate nella Sentenza n° 25573/2019.

I fatti che hanno portato al giudizio della Corte

Il Supremo Collegio si è trovato di fronte al ricorso presentato da una Società di vigilanza privata che aveva comminato la sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa ad un suo dipendente che, da oltre 14 anni, svolgeva mansioni di guardia giurata.

Il dipendente, infatti, mentre era addetto alla sorveglianza di uno stand fieristico, durante il turno di notte, si era allontanato di una decina di metri dalla sua postazione e si era adagiato su un divano presente sul soppalco di un vicino stand dove si era profondamente addormentato. E in tale condizione era stato ritrovato, dopo un certo tempo, da alcuni suoi colleghi.

Sia in sede di primo grado che in sede di Corte d'Appello i giudici aveva accolto le richieste di reintegro del dipendente in quanto avevano giudicato sproporzionata la sanzione disciplinare del licenziamento. Infatti, sia per il giudice di primo grado sia per la Corte d'Appello, la condotta della guardia giurata poteva configurare quanto il più lieve addormentamento in servizio che poteva essere sanzionato con la sospensione dal lavoro e dal pagamento dello stipendio per massimo 6 giorni lavorativi.

Anche perché, facevano notare i giudici, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore vigilanza operava una netta distinzione fra le fattispecie dell'addormentamento in servizio e dell'abbandono del posto di lavoro. In merito a quest'ultima, poi, l'azienda non aveva fornito alcuna prova concreta, secondo i giudici di merito, della concreta volontà del dipendente di abbandonare il proprio posto di lavoro.

Infine, secondo i giudici di merito, l'azienda avrebbe dovuto tenere conto del lungo rapporto di lavoro intercorso con il dipendente oggetto di tale pesante provvedimento disciplinare. Rapporto durato 14 anni senza mai che venissero sollevati dubbi sulla sua condotta lavorativa. Di conseguenza, i giudici di merito ritenevano sproporzionata la sanzione del licenziamento.

Per tali motivi la società di vigilanza ricorreva per Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso della società di vigilanza privata e di conseguenza lo ha rigettato. La Suprema Corte ha basato il suo ragionamento, in via preliminare, sul principio, cosiddetto, della doppia conforme ai sensi del disposto dell'articolo 348 - ter del Codice di Procedura Civile. Tale norma stabilisce che l'appello deve essere dichiarato dal giudice competente inammissibile quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolto. Di conseguenza, dato che sia il giudice del Lavoro che la Corte d'Appello hanno precedentemente deciso a favore dell'illegittimità del licenziamento del dipendente da parte della società di vigilanza, la Corte ha ritenuto di non discostarsi da questo orientamento.

Tanto più che, nel caso specifico, la società di vigilanza avrebbe dovuto indicare concretamente le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che sono tra loro diverse. Cosa che, nello specifico, non è avvenuta.

Anzi, la Corte di Cassazione chiarisce che affinché possa configurarsi la fattispecie dell'abbandono del posto di lavoro deve essere concretamente provato il totale distacco dal bene da proteggere, da un punto di vista oggettivo. E nella coscienza e concreta volontà della condotta di abbandono dal punto di vista soggettivo e indipendentemente dal motivo concreto che ha portato all'allontanamento. E nel caso specifico, precisa la Corte, i giudici di merito non avrebbero rilevato né l'elemento oggettivo né tantomeno quello soggettivo.

Inoltre, la Corte di Cassazione richiama un suo consolidato orientamento in materia giuslavoristica in base al quale non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal C.c.n.l per quella medesima infrazione. D'altra parte, spetta al solo apprezzamento del giudice di merito la valutazione della gravità dei fatti che possono giustificare un licenziamento per giusta causa. Per tali motivi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società di vigilanza e dato ragione al dipendente.