Il titolo della mostra di arti visive "La Terra inquieta" allestita dalla Fondazione Nicola Trussardi insieme alla Triennale di Milano è mutuato dalla silloge poetica dello scrittore caraibico Edouard Glissant, che ha rivolto la sua ispirazione ai problemi delle migrazioni dei popoli e della coesistenza di culture diverse. La giornata del 28 aprile 2017 è stata dedicata all'apertura degli spazi espositivi che resteranno a disposizione dei visitatori nella sede della Triennale milanese di Viale Alemagna fino al prossimo 20 agosto. Clarice Pecori Giraldi, vicepresidente della Triennale, e Beatrice Trussardi, presidente della Fondazione Nicola Trussardi, spiegano che l'iniziativa è raccordata ad una "mission urgente e doverosa", quella di raccontare il presente, incrocio di storie e di luoghi nelle declinazioni delle differenti culture alle quali il respiro dell'arte può conferire unità.

Nasce così la raccolta di 65 opere provenienti da vari Paesi del mondo, dal Magreb al Bangladesh, Siria, Iraq, che sorpassa la prospettiva culturale esclusivamente eurocentrica, accogliendo segni e linguaggi espressivi che finiscono con il ricadere nella comune esperienza storica delle migrazioni di tutti i tempi e di tutte le genti, senza eccezioni.

Culture in dialogo attraverso l'arte

Presente, passato, futuro. Il tempo sembra attorcigliarsi intorno ad un'unica spinta che sull'orizzonte planetario è la ricerca di dignità e di benessere. Per questo l'obiettivo della mostra è costituire elementi di un'antropologia dialogica che ponga le culture allo specchio, le faccia realmente dialogare per comprendere quanto ciascuna sia frazione di una globalità che dovrebbe essere lo spazio dell'armonia fra gli esseri, non del conflitto.

Video, immagini, documenti, oggetti, sono strumenti dell'interazione con i visitatori che potranno soffermarsi, lasciando "parlare" le opere d'arte, in distinte sezioni tematiche: la guerra in Siria, l'emergenza migranti a Lampedusa, i campi profughi, la condizione di nomade e di apolide.

La ricerca di un rifugio, del pane, delle relazioni umane, le biografie doloranti di difficoltà ed esclusione sociale, mutano anche la funzione dell'arte che intende far luce sul fenomeno migratorio e che si svincola dall'estetica per divenire testimonianza.

"La Terra Inquieta" schiude la riflessione sul diritto all'immagine, individuando, oltre la bulimia di scatti e riprese spesso ammiccanti alla spettacolarizzazione nel fuoco vorace della cronaca, l'orlo di volti, di narrazioni, che reclamano unicità e riserbo. La mostra è un appello contro lo svuotamento della massificazione, l'annichilimento di identità abbandonate.