Ieri alla Camera dei deputati si è svolto l'incontro di presentazione del BES, progetto congiunto Istat/ Cnel che propone una nuova visione nella misurazione del benessere equo e sostenibile di un paese, nell'ambito del dibattito internazionale del superamento del PIL come unica variabile.
Progetto ambizioso ed interessante, che rappresenta un tentativo di quantificare (e rendere confrontabili, anche storicamente) aspetti soggettivi di "felicità", che spesso sono trascurati nell'ambito delle ricerche ufficiali.
La variabile economica diventa quindi una parte del tutto, la voce "benessere economico" si contestualizza e si integra ad altre undici, dalla sicurezza all'Ambiente, dall'istruzione alla qualità dei servizi, fino ad includere il paesaggio ed il patrimonio culturale, le relazioni sociali, il benessere soggettivo, il lavoro e la conciliazione con i tempi di vita, la salute e la ricerca.
Del resto, che le aspettative in economia ed in finanza siano una variabile fondamentale è un concetto risaputo, tanto che spesso le attese dei soggetti economici rispetto ad un evento sono più importanti dell'evento stesso, influenzando decisioni e comportamenti sul mercato.
Il solco entro il quale si muove questa ricerca è il medesimo: la percezione collettiva è la chiave interpretativa per analizzare e misurare la situazione di un paese, in cui la somma delle singole variabili soggettive si consolida e si materializza, fornendo un quadro d'insieme lucido e completo.
La fotografia che emerge è impietosa (ed i dati si riferiscono al 2011): sempre più poveri, quasi sette milioni in gravi difficoltà, aumenta la quota di famiglie indebitate che fanno ricorso ad aiuti di amici, parenti ed istituzioni (dal 15,3% del 2010 al 18,8% del 2011).
Aumenta l'aspettativa di vita, ma proseguono i comportamenti a rischio: obesità è in crescita (circa il 45% della popolazione maggiorenne è in sovrappeso o obesa); i fumatori nel 2011 sono il 22,7%, aumenta l'uso di bevande alcoliche fra i più giovani.
Ed ancora i percorsi formativi e l'istruzione sono sotto la media europea, la partecipazione culturale è mediamente in calo, il tessuto sociale e familiare (vera risorsa di sostentamento psicologico e non solo) è sempre più sovraccarico, aumentano come da attese la sfiducia verso le istituzioni, la politica e l'amministrazione pubblica in generale.
Pochi i segnali positivi, fra i quali l'aumento dei consumi di energia da fonti rinnovabili (23,8% nel 2011, meglio della media UE), il miglioramento delle percentuali relative a differenziazione dei rifiuti e all'erogazione dei servizi, oltre che l'oggettiva ricchezza del nostro partrimonio artistico.
Una fotografia amara e sconfortante, per cui non si può che condividere l'augurio di Enrico Giovannini, presidente Istat, per cui questo non sia altro che "il punto di partenza per realizzare un cambiamento culturale che aiuterà a migliorare in concreto il benessere della generazione attuale e di quelle future".