E' la notte del 10Aprile, fuori dal porto di Livorno si alza all'improvviso una nebbiainsolita, eppure il Moby Prince che ormai ha levato le ancore perpoter effettuare il viaggio verso la sua destinazione ormai è fuoridal porto. Il comandante attiva la navigazione ad occhio e anche quella del radar di bordo, sicuro che non ci sia nessun'altranave presente in quel triangolo inibito all'approdo fuori dal porto.Ma all'improvviso un tonfo, poi uno scoppio ed infine il rogo chedivamperà e causerà la morte di 140 tra passeggeri ed equipaggio.La nave va in collisione con una petroliera, la Agip Abruzzo.Di questo incidente se ne parlerà per anni e la SNAM sarà costrettaa pagare i danni ai familiari delle vittime della tragedia.

Fin qui nulla di nuovo.Ma è ciò che viene fuori durante il dibattimento in aula, chesembra fare più notizia, cinicamente, delle stesse vittime. Prima ditutto è strano, ammettiamocelo, che gli analisti o chi si occupa delcaso venga preso di mira da intimidazioni, minacce e tentati omicidi.Inoltre, perché nel caso Moby Prince, non si parla di ciò che èuscito fuori realmente da un dibattimento portato avanti non senzaintoppi? La domanda che giornalisti d'inchiesta o format televisivinazionali si sono posti durante questi anni, visionando leregistrazioni delle trasmissioni via radio è: chi c'era oltre allaMoby Prince e all'AGIP Abruzzo nella rada di Livorno, in queltriangolo inibito all'approdo e alla pesca di qualsiasi tipo di nave?

Dalle tracce audio vienefuori che oltre alle due navi italiane, v'è n'era un'altra “Thereza”(il nome in codice) che corrisponderebbe, secondo il perito nominatodal figlio del comandante della Moby Prince Angelo Chessa, all'USSGallant II e che a quanto pare stesse trasportando armi da portare allabase statunitense di Camp Darby, tra Pisa e Livorno.

Di contro un notevolegiornalista d'inchiesta ha scoperto che una informativa della Digosdi Udine nel 1994 riferisce che: “per lunghi periodi unpeschereccio battente bandiera somala di colore bianco con scrittanera chiamato ‘Shifco’ [...] che sarebbe in realtà statoutilizzato per traffico internazionale di armi”. Trafficodi armi su cui sappiamo stava indagando anche la giornalista reporterIlaria Alpi, uccisa in un agguato a Mogadiscio insieme al suocameraman croato Miran Hrovatin.

Quindio si tratti della USS Gallant II o della shifCo sempre di armi sitratterebbe; e così si spiegherebbero le probabili intimidazioni ai dannidegli analisti ma soprattutto si spiegherebbe il fatto che attornoagli “italian affairs”vige una disinformazione che rende schiavi coloro i quali nonvogliono vedere e leggere con i propri occhi.