Nello svolgimento delle attività democratiche, lo direbbe qualsiasi raffinato manuale d'arte della cosa pubblica, fondamentale è l'apporto dell'opinione pubblica. Parola quanto mai equivoca e che abbraccia svariati ricircoli semantici, per opinione pubblica si definisce la pluralità delle opinioni, delle voci e delle informazioni attraverso cui i cittadini possono a loro volta formarsi un'opinione che sia la più coerente con le proprie idee e valutazioni. L'informazione quindi, assume nella democrazia, quel potere determinante di assistere i cittadini nella presa coscienza di ciò che accade tra le mura vicine e oltre la dogana di confine, in modo che essi possano controllare costantemente l'operato di chi assume cariche pubbliche e con esse l'onere di decidere per la collettività.

Oramai da nove anni l'organizzazione non governativa Freedom House stila una classifica a livello mondiale sulla libertà di stampa e di indipendenza editoriale di cui godono i diversi paesi. Tra di essi, da sempre ai vertici ci sono i paesi scandinavi, Finlandia in testa, portatori di una cultura social-democratica attenta alle istanze sociali e alla possibilità, da una parte dei giornali di poter avere massima azione critica, anche nei confronti dell'operato politico, dall'altro della popolazione, che ha svariate possibilità di formarsi un opinione cosciente attraverso la pluralità e il professionismo dell'informazione.

La libertà di stampa, si può dire, è un processo che ha seguito di pari passo le varie evoluzioni nelle formazioni degli stati.

In quelli di stampo autoritario essa è bassa e limita l'operosità ed esposizione del cittadino. In quelli maggiormente liberali e democratici, la libertà di stampa è il fondamento su cui si regge l'ordinamento statuario, che altrimenti collasserebbe su se stesso.

L'Italia, lo dicono i dati, non gode di buona salute, e sulla cartella clinica dello stato dell'informazione si potrebbe tranquillamente leggere "prognosi riservata": siamo il ventiquattresimo paese su venticinque nella zona Europa occidentale, abbiamo un valore (33) che si accosta a quelli di Benin, Namibia, Sud Africa, Corea del Sud e Guyana; a livello mondiale galleggiamo intorno alla settantesima posizione.

E il trend non accenna a migliorare. Dopo un lieve miglioramento nell'anno 2007 (c'eravamo fissati al livello 29 ), abbiamo reinvertito la rotta e siamo punto e a capo.

Per scavare a fondo le radici di questa sistematica débâcle, ci basta un brulicare di semplici mani nella terra, e le verità spuntano in superficie senza neanche l'utilizzo di zappa e vanga.

In questi vent' anni il nostro paese è stato Lanzichineccheggiato da un'anomalia tutta belpaesatica: il Presidente del Consiglio possedeva allo stesso tempo televisioni e giornali con cui orientare l'opinione delle masse sul suo operato politico. Un po' come se un giornalista fosse chiamato a scrivere di una truffa compiuta proprio da lui. Un conflitto di interessi a cui non si è mai avuto il coraggio di porre la parola fine, perché a troppi poteri in campo andava bene cosi'.

Ma la situazione della stampa e dell'informazione in genere in Italia deve essere implementata con altri fattori. Il sistema informazione potrebbe essere plasticamente definito con l'insegna "la casta che attacca la casta ".

Si perché lo Spoil System politica-poteri forti che sottoappalta le assunzioni nelle redazioni è il vero ostacolo per la ramificazioni di sistemi di efficienza. Oggi fai la comparsa in una redazione perché qualche politico te lo ha permesso, perché tuo padre è già del giro, o perché qualcuno di potente può assicurare il tuo silenzio su alcuni temi troppo caldi per essere portati in voga.

Alla parola meritocrazia si sostituisce algebricamente quella di "relazioni di fiducia", che serve a mascherare il fitto mondo di favori e ricompense reciproche che spesso cadono oltre i limiti della legalità. Per un giornalista oggi l'accesso alla professione è sbarrato da porte troppo strette, che all'occorrenza si trasformano però in quadriportici adatti a far transitare il pingue di turno.

E cosi' le figure professionali in Italia oggi giorno risultano meno competenti che nel resto del continente. Il lavoro giornalistico rimane soggiogato a regole palinsestiche di gossip e ricavi pubblicitari. Tutto è teso alla spettacolarizzazione del pauco e del modesto. Le opinioni vengono prima dei fatti e molto spesso non vengono distinte dallo spettatore, inerme, che viene messo spalle al muro nel tentativo di deviare informazioni e che ne rimane mutilato intellettualmente. A maggior ragione se anche il web pulsa di fluttuanti interpretazioni mistificatorie che disorientano e rendono ancor più a ostacoli il percorso verso la conoscenza. (Comunque il web resta di fondamentale importanza per redistribuire interpretazioni e informazioni al pubblico).

La stessa Televisione pubblica non da garanzie di imparzialità essendo un melting-pot  di cariche e poltrone di investitura partitica. Il tutto risulta alla mercè dei vari interessi da rappresentare tenendo conto più dell'equilibrio tra fazioni che dell'imparzialità vera e propria. Ed il nodo cruciale è proprio questo. I giornali e i media in genere dovrebbe servire per controllare le inefficienze della classe politica. In Italia succede esattamente il contrario. E' la politica a far pesare l'ago della bilancia dalla sua parte per sguazzare torbidamente nel mare dei mari editoriali. L'Editto bulgaro e la legge Bavaglio sono soltanto i due casi più clamorosi a favore di questa tesi. Per quanto ancora saremo disposti, noi cittadini, ad accettarlo?